· Città del Vaticano ·

SABATO ITALIANO

Siamo capaci di far nascere
la scintilla dell’incontro?

Papa Francesco in preghiera davanti al Crocifisso durante la Statio Orbis del 27 marzo 2020
22 maggio 2021

In un articolo comparso su queste pagine il 21 febbraio scorso, Pier Giorgio Gawronski, con accenti preoccupati ma tutt’altro che moralistici, ha sollevato il problema della crescente secolarizzazione delle giovani generazioni, delle possibili cause e delle modalità con cui la comunità ecclesiale potrebbe rispondere alle istanze di coloro che potremmo chiamare i “ N eet della fede”.

Come è noto, l’acronimo Neet in inglese rimanda alla realtà crescente di quei soggetti fra i 18 e i 30 anni che non sono inseriti in alcun percorso formativo e sono disoccupati non perché non trovano lavoro ma perché hanno smesso di cercarlo. È possibile che vi sia un fenomeno del genere anche nella dimensione religiosa? Una sorta di rivolta passiva di fronte a un modello religioso che non parla al cuore e all’intelligenza delle persone, che sembra essere estraneo rispetto all’esperienza di vita quotidiana, e il cui modo di comunicare è percepito come giudicante e quindi repulsivo?

È una domanda che ci siamo posti anche come Associazione cristiana dei lavoratori (Acli).

Oggi è difficile stabilire quali siano le cause e quali gli effetti. Il recente digiuno eucaristico che abbiamo vissuto tra marzo e maggio del 2020 ci ha interrogato molto però, perché ha reso evidente la nostalgia non tanto di una pratica religiosa ma di un incontro. Un incontro che prevede un andare: partecipare alla messa non è solo presiedere a una funzione religiosa ma andare a un incontro. Una nostalgia che si è fatta attesa e si è trasformata in gioia. Ecco, la gioia dell’incontro con l’Amato.

A molti giovani forse manca questa gioia, non siamo riusciti, noi adulti, catechisti, responsabili, educatori a trasmettere l’esperienza della gioia. Forse abbiamo confuso “l’incontro” con la funzione religiosa. La vita è un andare, un percorrere tante strade. Lo stesso Gesù non stava mai fermo, già nel grembo della Madre la sua vita percorre le strade da Nazaret alla città e anche l’ultimo giorno, Gesù sale sul Golgota, cammina portando su di sé ogni sofferenza, nefandezza, il tradimento, ma continua a salire. Provano ad inchiodarlo su quella croce. Lo depositano in una tomba. Ma nemmeno la pietra che copre il sepolcro può fermarlo! E lo ritroviamo a percorrere le strade verso Emmaus.

Non è la staticità di una funzione religiosa il problema. Il problema casomai è come viviamo la nostra condizione di cristiani nel mondo. Come associazione cristiana ci interroghiamo di come viviamo la nostra testimonianza nel lavoro. Nella formazione. Siamo capaci di incontrare le persone e far nascere la scintilla dell’incontro? Riusciamo a mettere via la scorza di inadeguatezza, di peccato, della superficialità che ci riveste e riusciamo a far trasparire la presenza di Dio nelle nostre vite?

Nelle Acli viviamo lo stesso terribile inganno: quello di difendere le nostre mura, le mura dei circoli. Pensiamo che lì, in quei luoghi abbiamo una responsabilità educativa e lì dobbiamo essere creativi, fare iniziative, convocare i soci. Quanto di più sbagliato non c’è. Noi dovremmo avere circoli senza porte, essere parte di quella Chiesa in uscita che ci chiama a essere educatori, a dare testimonianza.

Essere un’associazione in movimento. Perdersi un po’ nel mondo per ritrovarsi, ritrovare quello spirito di amicizia e servizio che ci rende presenti nella vita delle persone.

Come Acli siamo appena usciti da un congresso difficile, ancora più difficile per le condizioni in cui si è dovuto tenere, in questo contesto pandemico: vi è soprattutto un problema di socialità negata, che ha colpito la dimensione associativa e che si è riflessa sulla Chiesa: da che mondo è mondo “associarsi” significa “trovarsi insieme”, “riunirsi”, in vista di uno scopo comune, e l’ecclesia è appunto l’assemblea in cui i credenti in Cristo convergono.

Questo congresso ha messo al centro anche il tema della nostra vocazione, per questo ci siamo fatti tre promesse. Quella di andare tra la gente, nelle strade del mondo. Imitando Gesù, Acli in movimento, in cammino, soprattutto verso le periferie esistenziali, che possano tornare a essere vicine alle solitudini, le fragilità. Acli che corrono per ricucire fratture presenti nella società.

Andare per mettere al centro chi è ai margini. Perché il Signore percorre le strade e mette al centro chi incontra, chi gli chiede aiuto. Portare dai margini al centro della nostra azione le persone che siamo chiamate a servire, le tante povertà che incontriamo e a cui vogliamo dare voce.

E ad ultimo il punto principale: toccare i poveri, lasciarsi ferire, lasciarsi “disturbare” da loro. Dobbiamo toccare le piaghe dell’umanità che diciamo di servire e di rappresentare.

La credibilità della vita, la concretezza nelle azioni vale per le Acli, per i singoli educatori sia per la comunità ecclesiale nel suo complesso, se vogliamo essere comunità educante, dobbiamo tenere insieme l’essere “credenti e credibili”: su questo l’istinto giovanile è sensibilissimo, e la percezione dell’ipocrisia e della doppiezza può fare veramente male.

I giovani ci attenderanno alla prova, come comunità ecclesiale, per dimostrare di essere qualcosa di più dei consolatori a buon mercato in un mondo senza cuore o degli “spazzini del sociale” che raccolgono i sempre più numerosi scartati dalla logica del mercato.

Se pensiamo a una Chiesa credibile, che cammina col mondo caricando aspettative e sofferenze dell’umanità non possiamo che tornare a un anno fa, all’immagine di Papa Francesco in una piazza San Pietro deserta, con la pioggia e il blu delle sirene delle ambulanze riflesso sul pavimento del colonnato più famoso del mondo. Il Papa non era solo, aveva una croce che sembrava quasi aumentarne la fatica e voler aggiungere un ulteriore peso ad una camminata quasi incerta, sicuramente dolorosa. È l’immagine della Chiesa di oggi, che cammina con difficoltà, che sembra schiacciata da quel peso e dalla domanda che risuona da più di 2000 anni: chi vuol venire dietro di me prenda la sua croce e mi segua.

Ecco una Chiesa credibile, una comunità che torni ad essere testimone e che viva una sana inquietudine tra fede e vita. Che torni per le strade per manifestare la gioia di un incontro che poi ti porta a partecipare alla mensa del Pane e della Parola di Vita.

di Emiliano Manfredonia


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