· Città del Vaticano ·

Israele e Palestina: un conflitto senza fine
Prospettive militari e politiche del conflitto in Medio Oriente

È ancora guerra

A plume of smoke rises in the sky of Gaza City during an Israeli airstrike on October 9, 2023. ...
09 ottobre 2023

Le scene delle camionette dei miliziani di Hamas che scorrazzano, pressoché indisturbati a Sderot e in altri villaggi del sud di Israele, seminando il terrore e rapendo civili israeliani, sono senz’altro impressionanti. «In 34 anni che vivo qui non ho mai visto nulla di simile» dice il vicario della Custodia di Terra Santa fra Ibrahim Faltas, che pure fu testimone obbligato dell’assedio alla Basilica della Natività di Bethlem nel 2002.

Sono attacchi terroristici orribili, da condannare senza ombra di dubbio, avvenuti il primo Shabbat dopo le feste di Sukkot, nella ricorrenza di un altro tragico Shabbat della storia di Israele: quello con cui esattamente 50 anni or sono iniziò la guerra del Kippur.

Rimane ancora da chiarire come centinaia di miliziani di Hamas e Jihad siano riusciti ad uscire, armati fino ai denti, da Gaza e ad infiltrarsi dentro i villaggi del sud di Israele per mettere in atto l’operazione chiamata dai loro capi “Al Aqsa Flood”.

Mentre scriviamo, ormai a 48 ore dall’inizio, le operazioni militari non sembrano essere ancora terminate, malgrado la scesa in campo massiccia dell’Israeli Defence Force, dopo la dichiarazione dello stato di guerra, formalizzata nel primo pomeriggio di ieri dal governo di Netanyahu.

Per quanto le forze armate israeliane possano presto riprendere il controllo della situazione, gli effetti dell’operazione “Al Aqsa flood” rischiano di permanere a lungo: la risposta militare israeliana sarà inevitabilmente inibita dalla presenza a Gaza di dozzine di civili israeliani rapiti in queste ore, che Hamas non esiterà ad usare cinicamente come scudi umani.

Pur avendo Hamas presentato l’operazione da Gaza come un’incitazione alla rivolta generale, non sembra che nella West Bank e a Gerusalemme est l’invito sia stato raccolto, pur in un clima generale di soddisfazione popolare per la riuscita dell’attacco. Un segno di preoccupazione permane invece circa la possibilità di un ulteriore attacco ai confini settentrionali da parte di Hezbollah.

Molto più immediati sono gli effetti politici. Sicuramente sul fronte politico interno l’attacco terroristico non ricompatta un’opinione pubblica già lacerata dalle divisioni prodotte dalla riforma della giustizia promossa da Netanyahu, e che ha portato in piazza a protestare milioni di persone da ormai 9 mesi. I giornali israeliani non lesinano critiche al premier per la gestione militare di queste ore, ma ancor più per aver in un qualche modo accreditato negli anni il ruolo antagonista di Hamas pur di diminuire le iniziative di Mahmoud Abbas nella realizzazione dei «due stati per due popoli».

E non rafforza il governo conservatore che finora ha esibito una buona dose di decisionismo a fronte di una debole maggioranza parlamentare di soli 4 voti alla Knesset.

Nel campo avverso invece si mostra sempre più evidente la debolezza della leadership dello Stato Palestinese guidato da Mahmoud Abbas, che nei comunicati ufficiali di queste ore, non riesce a marcare un’effettiva distanza dalle iniziative di Hamas.

In questo momento ci si chiede che fine farà l’ipotesi di accordo tra Israele ed Arabia Saudita. Un’ipotesi di accordo, fortemente sospinta dall’amministrazione Biden, che potrebbe disegnare, se non l’avvio di una pacificazione, uno scenario futuro molto diverso, assai più del complesso degli accordi di Abramo.

Tanto per le forti concessioni ai palestinesi che i sauditi richiedono, quanto per il volano che rappresenterebbe per le economie dei due paesi, e per lo sviluppo della Palestina. Un’ ipotesi di accordo che ha dominato il dibattito politico medio orientale delle ultime settimane, e che proprio per le sue potenzialità a venire ha registrato l’aperta ostilità per motivi opposti tanto dei nazionalisti religiosi israeliani quanto del regime iraniano, poco incline ad accettare un tutoring saudita sui palestinesi. L’ipotesi di accordo con l’Arabia Saudita non era certo la pace, ma poteva essere un primo tassello per la ripresa di un confronto. Si ricomincia tutto daccapo. Ancora una volta.

di Roberto Cetera


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