«Condanniamo inequivocabilmente qualsiasi atto che prenda di mira i civili, indipendentemente dalla loro nazionalità, etnia o fede. Tali azioni vanno contro i principi fondamentali dell’umanità e degli insegnamenti di Cristo». Condanna, preghiera e speranza si mescolano nei molteplici appelli e dichiarazioni giunti da istituzioni ecclesiali e singoli responsabili religiosi dopo il brutale attacco del movimento islamico palestinese Hamas a Israele. Speranza e preghiera — continuano i patriarchi e capi delle Chiese di Gerusalemme — che «tutte le parti coinvolte prestino ascolto» con l’obiettivo di «una cessazione immediata della violenza. Imploriamo i leader politici e le autorità a impegnarsi in un dialogo sincero, cercando soluzioni durature che promuovano la giustizia, la pace e la riconciliazione per la popolazione di questa terra, che ha sopportato il peso del conflitto per troppo tempo». Forte preoccupazione è stata espressa dal patriarcato di Gerusalemme dei Latini a causa dell’estensione e intensità del conflitto: «L’operazione lanciata da Gaza e la reazione dell’esercito israeliano ci riportano ai periodi peggiori della nostra storia recente». E ancora: «I continui spargimenti di sangue e le dichiarazioni di guerra ci ricordano ancora una volta l’urgente necessità di trovare una soluzione duratura e globale al conflitto palestinese-israeliano in questa terra, che è chiamata a essere una terra di giustizia, di pace e di riconciliazione tra i popoli». Il cardinale patriarca Pizzaballa ha invitato ieri i fedeli a celebrare la messa domenicale «con l’intenzione di cessare il fuoco e porre fine alla guerra in corso in Terra Santa, chiedendo al Signore di impedire ulteriori spargimenti di sangue, distruzioni di vite e sepolture di speranze».
Il pensiero del patriarca ecumenico Bartolomeo va in particolare ai civili che «vivono dolorosi momenti di angoscia, terrorizzati dal suono inquietante delle sirene e dalla minaccia imminente delle esplosioni, e soprattutto a tutti i bambini innocenti, che meritano di crescere veramente in una “Terra promessa” di pace e prosperità». Il patriarca di Mosca, Kirill, ricorda che «la Terra Santa riveste un’importanza eccezionale per milioni di cristiani che vivono in tutto il mondo e per i fedeli di altre religioni, e per questo la convivenza pacifica lì acquista una dimensione non solo umanitaria, ma anche religiosa». Padre Gabriel Romanelli, argentino, parroco della chiesa della Sacra Famiglia a Gaza, osserva che «per situazioni molto meno gravi di quella attuale qui sono iniziate in passato guerre molto lunghe», si affida alla preghiera e alla speranza di una conversione dei cuori e ricorda le parole di Pio xii nel radiomessaggio rivolto ai governanti e ai popoli nell’imminente pericolo della seconda guerra mondiale (24 agosto 1939): «Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra».
In una nota la Conferenza episcopale italiana esprime «vicinanza e solidarietà a tutti coloro che, ancora una volta, soffrono a causa della violenza e vivono nel terrore e nell’angoscia», e chiede «il pronto rilascio degli ostaggi». Serve «un percorso di stabilità per l’intera regione, nel rispetto dei diritti umani fondamentali. Quella Terra che riconosciamo come Santa merita una pace giusta e duratura». Il World Council of Churches è preoccupato «per le conseguenze inevitabilmente tragiche per la popolazione della regione. Gli attacchi portano solo ulteriore violenza; non possono fornire un percorso verso la pace o la giustizia». Tutte le Chiese membro del Wcc sono unite nella preghiera «per una pace giusta nella terra natale di Cristo e in solidarietà con tutte le persone colpite e minacciate dalla violenza». A nome della Comunione anglicana, il vescovo segretario generale Anthony Poggo prega «per la sicurezza di tutti i civili – residenti, turisti e pellegrini – e per la cessazione della violenza».
di Giovanni Zavatta