· Città del Vaticano ·

Quasi 1.500 i morti accertati sui due fronti. Le sirene suonano di nuovo anche a Gerusalemme

Israele dichiara
lo “stato di guerra”
e prepara l’operazione
via terra contro Gaza

TOPSHOT - Palestinians evacuate the area following an Israeli airstrike on the Sousi mosque in Gaza ...
09 ottobre 2023

Tel Aviv , 9. Si prospetta un conflitto di lunga durata. Stamattina le sirene di allarme sono risuonate nella zona centrale di Israele e anche a Gerusalemme per il lancio di razzi da Gaza. I servizi di segnalazione locali hanno fatto sapere che si sono udite esplosioni in cielo dovute all’intercettamento dei razzi da parte del sistema anti-missile israeliano Iron Dome. E mentre in queste ore si sta ingrossando lo schieramento dei carri armati israeliani al confine con Gaza per una imminente operazione di terra, il gabinetto di sicurezza del governo di Benjamin Netanyahu ieri ha dichiarato lo “stato di guerra”, con le conseguenti «significative azioni militari» che il premier aveva preannunciato già a poche ore dall’attacco di Hamas contro il sud di Israele, evocando «una campagna di un’irruenza e un’ampiezza mai viste finora».

Dopo il lancio di migliaia di razzi da Gaza verso il sud del Paese, avvenuto all’alba di sabato 6 ottobre mentre Israele si apprestava a celebrare la “festa delle Capanne” (Sukkot), immediata è stata la risposta delle forze di sicurezza israeliane (Idf), con oltre 1.000 bombardamenti che sono tuttora in corso e hanno colpito circa 800 avamposti di Hamas, tra cui il cosiddetto “nido del terrore” nel quartiere Shujaiyya di Gaza City. Sono stati colpiti dai raid israeliani anche 13 palazzi e 20.000 persone sono state costrette a lasciare le proprie abitazioni.

Nel momento in cui andiamo in stampa le vittime israeliane dell’attacco di Hamas sono arrivate quasi a 1.000, tra cui molti civili. Tra queste, anche le 260 persone, per lo più giovani, che stavano partecipando a un rave party nel deserto del Negev. I feriti sono oltre 2.500, molti in gravi condizioni. E all’appello ne mancano ancora centinaia. A Tel Aviv e Gerusalemme i cittadini sono barricati in casa e nei rifugi antiaerei, mentre le compagnie aeree, una dopo l’altra, stanno cancellando tutti i voli da e per l’aeroporto Ben Gurion, bloccando nel Paese diversi turisti.

Sul versante di Gaza, i morti sotto i bombardamenti dell’aviazione israeliana sono arrivati ad oltre 450, a cui vanno però aggiunti circa 300-400 miliziani uccisi dall’esercito, secondo dati diffusi dal portavoce militare Daniel Hagari. I feriti, secondo il dipartimento della sanità della Striscia di Gaza, sono circa 2.300.

Prima di un’azione di terra, che fonti Usa prevedono in arrivo nel giro di 24-48 ore, l’esercito israeliano punta a eliminare le sacche di resistenza al confine con la Striscia: obiettivo che, secondo quanto comunicato da Hagari, è stato raggiunto questa mattina anche nelle otto città dove si stava ancora combattendo e che erano state attaccate dagli uomini di Hamas (con le Brigate Ezzedin al-Qassam), Jihad islamica e Brigate dei Martiri di al Aqsa. «Anche se — ha aggiunto — è possibile che ci siano ancora miliziani nell’area». Le forze israeliane ieri hanno anche arrestato il vice comandante della divisione meridionale della forza navale di Hamas a Gaza, Muhammad Abu Ghali.

I miliziani delle tre organizzazioni, circa un migliaio, secondo quanto ha dichiarato un portavoce militare che ha parlato di sabato «come della giornata di gran lunga peggiore nella storia di Israele», sono penetrati da 29 punti (un’ottantina si sarebbero infiltrati anche nella notte tra domenica e lunedì), uccidendo a sangue freddo e prendendo in ostaggio circa 130 prigionieri (soldati e civili, tra cui donne, anziani e bambini), portati poi nei tunnel e nelle case dei membri delle tre fazioni, forse usati come scudi contro eventuali attacchi. Riguardo ai prigionieri, la questione di un loro rilascio — in base a quanto riporta l’agenzia cinese Xinhua — è oggetto di «una mediazione del Qatar con il supporto degli Usa al fine di arrivare a uno scambio tra donne israeliane e donne palestinesi detenute nelle carceri israeliane». E proprio il presidente statunitense, Joe Biden, dopo una telefonata con Netanyahu, ha ribadito «incrollabile sostegno allo Stato di Israele», pianificando lo spostamento di navi e aerei più vicino al Paese e garantendo l’invio di munizioni.

Sale intanto la preoccupazione per la posizione e il ruolo nella vicenda da parte di Iran e del gruppo Hezbollah, entrambi vicini ad Hamas. Anche se l’intelligence non ha al momento verificato un legame diretto, nel pomeriggio di ieri il presidente iraniano Ebrahim Raisi, dopo aver telefonato ai leader di Hamas e della Jihad islamica, rispettivamente Ismail Haniyeh e Ziyad Al-Nakhale, ha dichiarato — ripreso dalla televisione di Stato — che l’Iran sostiene il diritto dei palestinesi all’autodifesa e ha accusato Israele di essere un pericolo per la regione. «Il regime sionista e i suoi sostenitori sono responsabili di aver messo in pericolo la sicurezza delle nazioni della regione e devono essere chiamati a rispondere di questa vicenda», ha detto, invitando poi le autorità dei Paesi musulmani a «sostenere sinceramente il popolo palestinese».

Hashem Safi al-Din, capo del Consiglio esecutivo di Hezbollah, durante una conferenza stampa, ha lanciato un messaggio a Usa e Israele, affermando che i combattimenti potrebbero estendersi e che le loro violazioni dei luoghi santi islamici e il «superamento di tutte le linee» hanno portato all’operazione “Tempesta di Al-Aqsa” di Hamas. Israele, secondo quanto riporta il sito di Haaretz, ha attivato una batteria di missili terra-aria al confine tra Israele e Libano, ma le autorità di Beirut hanno avuto rassicurazioni da Hezbollah che i suoi miliziani non si uniranno a Hamas nei combattimenti in corso, a meno che Israele non «disturbi» il Libano.

Reazioni sono arrivate dalla comunità internazionale, con manifestazioni di sostegno a Israele da diverse cancellerie europee. Il segretario generale dell’Onu, António Guterres, ha espresso la sua preoccupazione per la popolazione civile di fronte all’escalation del conflitto tra Israele e Palestina, ha condannato «con la massima fermezza l'attacco di Hamas» e ha chiesto «tutti gli sforzi diplomatici per evitare una deflagrazione più ampia», aggiungendo che «la violenza non può fornire una soluzione al conflitto e che solo attraverso negoziati che portino a una soluzione a due Stati si può raggiungere la pace». Il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, ha avuto, in coordinamento con l’Alto rappresentante Ue per la Politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, una serie di contatti con i leader dei Paesi del Medio oriente per sottolineare la necessità di un de-escalation e di una cessazione immediata delle ostilità, nonché della liberazione immediata degli ostaggi, del rispetto dei diritti umani e dei civili. Di questi temi, a quanto si è appreso, Michel ha parlato tra l’altro con il primo ministro palestinese, Mohammad Shtayyeh, e ha poi avuto un colloquio telefonico anche con il re di Giordania, Abd Allah ii, con il quale ha evidenziato la necessità di fare tutto il possibile per evitare che il conflitto si estenda alla Palestina e alimenti nuove tensioni tra la comunità israeliana e quella araba.

Il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, per parte sua, ha esortato Israele e Hamas a «sostenere la pace», invitando entrambe le parti alla moderazione e a risparmiare i civili. Ha poi rilanciato la soluzione dei due Stati definendo «necessaria» la fondazione di uno Stato palestinese.