SABATO ITALIANO

Una sovrabbondanza
di vita

Tre giovani testimoni riminesi: da sinistra, il beato Alberto Marvelli, Sandra Sabattini, che sarà beatificata ad ottobre, e Nicola Zattoni, morto di Sla lo scorso 6 giugno
12 giugno 2021

Il grande interesse suscitato dagli articoli della rubrica Il sabato italiano, a partire dall’intervento di Pier Giorgio Gawronski («Le chiese vuote e l’Umanesimo integrale», L’Osservatore Romano, 22 febbraio 2021), evidenzia un bisogno di novità, rispetto al quale i nostri calcoli e progetti si rivelano sempre più inadeguati.

«Tante volte anche le nostre analisi ecclesiali — ha osservato il Papa — sembrano racconti senza speranza», e «una lettura della realtà senza speranza non si può chiamare realistica» (Discorso alla Curia Romana, 21 dicembre 2020). Siamo in un tempo di crisi — sanitaria, economica, psicologica, educativa — che è anche una «crisi ecclesiale». Lasciandoci mettere in crisi da ciò che accade, possiamo, tuttavia, scoprire che sta fiorendo «una nuova forma, scaturita esclusivamente dall’esperienza di una Grazia nascosta nel buio», imprevista e imprevedibile: «una novità che germoglia dal vecchio e lo rende sempre fecondo», secondo la dinamica di un continuo «nuovo inizio» (ibid.).

Tutto si decide nel lasciarsi sorprendere da questo «nuovo inizio», poiché o il cristianesimo è, in ogni istante, un «nuovo inizio» o non è cristianesimo.

Si tratta di essere, secondo il recente invito del Santo Padre, disponibili ad «accogliere l’imprevisto», per «restare docili allo Spirito» (Discorso al Consiglio nazionale di Azione Cattolica, 30 aprile 2021).

Proprio in questa circostanza, nella mia diocesi di Rimini, siamo stati rimessi di fronte alla testimonianza di Sandra Sabattini (1961–1984), giovane della mia parrocchia di San Girolamo, appartenente all’Associazione Papa Giovanni xxiii fondata da don Oreste Benzi (1925–2007), la cui beatificazione, già prevista per il 14 giugno 2020 e rimandata a causa della pandemia, è stata nuovamente fissata per il prossimo 24 ottobre.

Nel contesto della crisi oggetto del dibattito suscitato dall’articolo di Gawronski e resa ancor più evidente dalle conseguenze dell’emergenza sanitaria in corso, l’esperienza di Sandra indica il punto sorgivo di un «nuovo inizio».

La testimonianza di una giovane della nostra terra e del nostro tempo, la cui vita è stata riempita da un’ideale al punto da donarla tutta, è, infatti, una provocazione ad accogliere «il bisogno di infinito che è dentro di noi e che non possiamo far finta di ignorare», come Sandra stessa scriveva pochi giorni prima di compiere vent’anni, sottolineando che «l’infinito è lì che ci aspetta ogni volta che cadono le “posticce” risposte che abbiamo dato al suo bisogno» (Diario, 7 agosto 1981).

A questo bisogno infinito, che ci siamo tutti sorpresi addosso nel dramma imprevedibile della crisi che stiamo vivendo, col venir meno di ciò in cui avevamo riposto la nostra consistenza, possono rispondere il “tornare come prima” o “una chiesa piena”?

Per tutti, nella Chiesa come nell’intera società civile, è urgente quello che Sandra domandava: «Signore non darmi la possibilità di “tirarmi su”, ma fammi sentire ancora di più il vuoto della mia umanità, […] per risalire e farmi gustare a fondo la bellezza della mia umanità, dell’essere giovane, di essere nel mondo» (Diario, 27 gennaio 1981).

Quando in una classe dell’Istituto professionale alberghiero “Malatesta” di Rimini, dove insegno religione, durante un bellissimo dialogo sulla solitudine con alcuni giovani, uno di loro ha detto di sorprendere questo «vuoto» dentro di sé, mi sono commosso profondamente riconoscendo il mio dramma, quello dell’umanità di tutti, dai ragazzi coinvolti nelle recenti risse nei centri storici delle nostre città, ai senza tetto che dormono nelle nostre strade, fino a tutti gli uomini e le donne che bramano una speranza per sé e per i propri figli e a coloro che lavorano per una ripresa politica ed economica ad ogni livello.

Su queste pagine, negli ultimi mesi, ci si è interrogati spesso sulle chiese che si svuotano, ancora più velocemente in questo tempo di pandemia, e nei dibattiti intra-ecclesiali non mancano programmi e strategie per tornare a riempirle.

L’esperienza di Sandra Sabattini testimonia, invece, come la vera questione sia una proposta che possa prendere sul serio fino in fondo il «vuoto della mia umanità».

Se le chiese sono piene di attività per il tempo libero o di una devozione estranea al grido che emerge nel cuore di ogni uomo e di ogni donna di ogni epoca, presto si svuoteranno del tutto.

Nella circostanza in cui viviamo non mancano giovani e adulti che si riavvicinano all’esperienza ecclesiale. Quando accade non è per una consonanza ideologica o per una condivisione dei temi etici, tantomeno per un attivismo clericale, ma solo per il riconoscimento di uno sguardo capace di abbracciare il proprio bisogno umano.

In questi giorni, sempre a Rimini, questo si è reso evidente nell’esperienza di Nicola Zattoni (1984-2021), giovane imprenditore appartenente a Comunione e Liberazione, morto per sla il 6 giugno, la cui testimonianza ha attratto tantissimi giovani e adulti, diversi dei quali lontani dalla vita ecclesiale, i quali hanno riconosciuto nel suo volto la possibilità di guardare con speranza alla propria umanità ferita. Ma da dove nasce questo sguardo sofferente e lieto, che ha sfidato chiunque lo ha incontrato in questi dieci mesi di malattia? «Uno guardando me — diceva lo stesso “Zatto” rivolgendosi agli amici la sera del suo compleanno, pochi giorni prima della morte — non può confondersi. Non sono forte. Non sono coraggioso. Non ho le spalle per questa croce. Sono semplicemente “preso” […] Sto vivendo una intensità di vita impossibile, inimmaginabile» (1 giugno 2021). La domanda che Nicola ha posto, a se stesso e a tutti, non può trovare risposta nella guarigione o in uno spiritualismo: «Il punto non è camminare, il punto è avere il cuore pieno. Cosa riempie il cuore? Mi interessa questo. E quindi cerco questo nella realtà. Perché un discorso non mi basta: allora dico “Signore fatti vedere oggi, mostrami il Tuo volto, perché è quello che voglio”». (Dialogo con alcuni universitari, 15 marzo 2021).

Quando qualcuno incontra, come è accaduto a Sandra e a Nicola, un’esperienza all’altezza dei desideri del proprio cuore, vive una pienezza altrimenti impensabile.

Solo per questa sovrabbondanza di vita si riempiono le chiese e si esce dalle sacrestie, disposti a fare un tratto di strada con tutti, poiché la questione decisiva è totalmente laica ed umanissima, quella posta dalla domanda, che fiorisce in ogni brandello della nostra umanità, circa il senso dell’esistenza.

Lo scriveva un altro giovane riminese, il Beato Alberto Marvelli (1918–1946), nel contesto non meno drammatico dell’immediato dopoguerra: «Molti si preoccupano per le Chiese vuote: ebbene, questo non impressiona, perché chiese rigurgitanti possono essere indice di superstizione, di religiosità esteriore. Quando gli uomini sapranno trovare Cristo per la strada, ritroveranno anche la Chiesa» (La mia vita non sia che un atto di amore. Scritti inediti, p. 87).

Queste testimonianze mettono in luce come l’unica vera chance della Chiesa, oggi come duemila anni fa, sia la capacità di Cristo di attrarre totalmente il cuore fino al riconoscimento che Egli è tutto: «Ora si tratta di una cosa sola: scegliere. Ma cosa? Dire: sì Signore scelgo i più poveri; ora è troppo facile, non serve a niente se poi quando esco è tutto come prima. No, dico: scelgo Te e basta» (Sandra Sabattini, Diario, 26 febbraio 1978).

Lo richiama costantemente Papa Francesco, citando Benedetto XVI: «La Chiesa non cresce per proselitismo ma “per attrazione”» (Evangelii gaudium, 14).

Non possiamo accontentarci di meno di questa attrattiva e non abbiamo altro da offrire, a noi stessi e ai nostri fratelli e sorelle, uomini e donne del nostro tempo.

di Roberto Damiano Battaglia


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