L’eredità del Papa

di Edoardo Giribaldi
«Azzardare», «rivoluzione», ma anche «ordinario». Tre parole che, accostate, sembrano un ossimoro, e invece svelano il cuore pulsante dell’integrazione: trasformare il «loro» in «noi» senza bisogno di retorica. A esprimere questo anelito sono state le voci delle persone con disabilità, e dei loro compagni di viaggio, nell’abbraccio di una comunità dove, come ricordato dall’arcivescovo Rino Fisichella, «nessuno», se autenticamente accolto, «può rimanere solo».
Il responsabile dell’organizzazione dell’Anno Santo, e già pro-prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione ha presieduto ieri sera, 28 aprile, nella basilica di San Paolo fuori le mura, la messa per il Giubileo delle persone con disabilità. Il tempio che custodisce le spoglie dell’Apostolo delle genti ha aperto le sue braccia antiche ai fedeli attraverso segni nuovi di accoglienza e cura: lungo la piccola scalinata in marmo che conduce al quadriportico, alcune rampe si sono intrecciate come sentieri di libertà, tracciati per chi chiede solo di camminare al fianco di tutti.
Anche la liturgia ha respirato una brezza di rinnovamento: accanto ai canti, si è levata la lingua silenziosa ma vibrante della Lis, la Lingua internazionale dei segni, grazie a un coro che ha cantato non solo con la voce, ma anche con le mani e con il cuore. La proclamazione del Vangelo — il dialogo notturno tra Gesù e Nicodemo — si è fatta teatro discreto ai piedi dell’altare: veli celesti, sventolati da giovani mani, hanno narrato il misterioso soffio dello Spirito. «Il vento soffia dove vuole»: parola e gesto si sono fusi in un’unica preghiera.
Nei riti introduttivi, monsignor Fisichella ha affidato alla comunità una preghiera intensa: che il seme gettato da Papa Francesco, nel suo Pontificato di misericordia e inclusione, possa fiorire e «permanere ancora nella Chiesa». Durante l’omelia, la Parola si è fatta ancora più concreta: il presule ha richiamato il passo degli Atti degli Apostoli in cui Pietro e Giovanni guariscono un paralitico, senza «oro né argento», ma nel solo nome di Gesù. Un miracolo non di ricchezza, ma di restituzione: donare «l’autonomia», la dignità, la forza di rialzarsi. La prima comunità ecclesiale, nelle sue preghiere, risponde a questo gesto senza chiedere privilegi, ma, piuttosto, il coraggio di «non rimanere in silenzio», ha rimarcato Fisichella.
Di questo sogno si sono fatti artigiani tante persone, come Cristina Borlotti, giunta a Roma da Bergamo insieme a cinquecento compagni di cammino. Responsabile dell’Ufficio pastorale per le persone con disabilità della sua diocesi, ha raccontato ai media vaticani un impegno su due fronti: non creare percorsi «speciali», ma seminare inclusione nei contesti quotidiani; e cambiare la «cultura», a partire dalle parole. «Non più “disabili”, ma persone con disabilità», perché il linguaggio, come le mani, può costruire ponti o innalzare muri.
Ieri mattina, Borlotti ha preso parte al convegno dal titolo «Noi: pellegrini di speranza», promosso dal Servizio nazionale per la pastorale delle persone con disabilità della Conferenza episcopale italiana. Da esso, è emersa la voce limpida di Marta Russo, presidente dell’associazione «Diritti Diretti» — volta alla promozione di forme di turismo più accessibili — e «influencer dell’accessibilità», come ama definirsi. Il suo progetto nazionale, «I pensieri di Marta», attraversa scuole e social media per raccontare una verità semplice e radicale: le persone con disabilità non stanno «fuori», ma dentro il «noi». Una «rivoluzione culturale» che, ha sottolineato Russo, è stata invocata da Papa Francesco. Il testimone passa ora nelle mani dei giovani, capaci di sognare e realizzare il «futuro», un mondo più giusto.
«Osare» è stato l’invito di Luca, arrivato da Varmo, in provincia di Udine. Con i ragazzi disabili della sua comunità ha intrapreso un viaggio verso Roma che, «fino a qualche tempo fa», sembrava «impensabile», ha sottolineato. Strade percorse e aperte non solo nello spazio ma anche nelle possibilità. La meta? Non tanto luoghi geografici, ma terre interiori di «autonomia», dignità, felicità. Vedere le persone disabili fiorire, partecipare, navigare verso «l’inesplorato» ha concluso, è stata la gioia più grande.
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