Un uomo gravemente malato, quasi completamente cieco, consapevole di essere arrivato al termine della sua vita terrena, compone versi pieni di gratitudine per la bellezza della natura e il mistero della creazione. L’autore si chiama Giovanni, ma da tempo nessuno lo chiama così: dal suo dialogo con Dio scaturisce un vortice di parole, una danza di lode che, a otto secoli di distanza, non ha smesso di comunicare gioia, stupore, consolazione, luce, calore umano e divino. Non a caso il Cantico delle creature di Giovanni di Pietro di Bernardone — alias Francesco d’Assisi — è conosciuto anche come Cantico di frate sole. Con Francesco, alter Christus, “nasce al mondo un sole”, scrive messer Durante degli Alighieri nel suo poema in volgare più famoso; una stella che non smette di splendere, fissata in versi che continuano a parlarci con la loro schietta semplicità. Non a caso, in questo scorcio di ventunesimo secolo un Papa — l’arcivescovo di Buenos Aires Jorge Mario Bergoglio — ha scelto il nome di Francesco una volta salito al soglio di Pietro, e ha scritto una lettera enciclica destinata al mondo a partire dall’incipit del Cantico. Dieci anni anni sono passati dall’uscita della Laudato si’ ma i temi trattati sono più attuali che mai. «Niente di questo mondo ci risulta indifferente» si legge all’inizio del testo, accanto alle parole dedicate a sora nostra morte corporale. La gioia di Francesco è nascosta dentro un apparente paradosso, nasce dall’accettazione di fratello dolore. Con il cuore spezzato dalle discordie che dividevano i suoi confratelli, ancora di più che dalla malattia, Francesco ci consegna un potente antidoto alla solitudine, il dialogo con Dio, regalandoci ottocento anni di gratitudine. (silvia guidi)
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