· Città del Vaticano ·

Irlanda del Nord, 31 agosto 1994

La pace irrealizzabile
divenuta realtà

(FILES) File picture of  British Prime Minister Tony Blair (R), US Senator George Mitchell (C) and ...
30 agosto 2025

Sono passati 31 anni dal 31 agosto del 1994, giorno in cui l’Ira, Irish Republic Army, depose le armi, mettendo fine a un lungo conflitto settario fra repubblicani, che puntavano alla riunificazione con l’Irlanda, e unionisti, sostenitori del mantenimento del territorio nordirlandese sotto la corona britannica. Un cessate-il-fuoco che ha rappresentato una tappa decisiva nel processo di pace che portò alla firma dell’Accordo di Belfast, detto anche Accordo del venerdì santo, il 10 aprile 1998 e, successivamente, dopo un referendum popolare, alle elezioni per l’assemblea legislativa locale e all’insediamento di un esecutivo “consociativo”, basato cioè sulla condivisione del potere fra i rappresentanti delle due principali comunità politico-religiose del Nord, con competenze su un certo numero di settori devolute da Londra. Una tregua arrivata, però, dopo anni di violenze, culminate, il 30 gennaio del 1972, in una delle pagine più drammatiche e buie della recente storia nordirlandese ed europea. Nella città di Derry, l’esercito britannico aprì deliberatamente il fuoco contro una folla di persone che partecipava a una marcia di protesta non violenta, uccidendo sul posto 13 persone, la maggior parte giovanissime (una quattordicesima morì pochi giorni dopo in ospedale). Da allora questa tragica giornata viene ricordata come Bloody Sunday, ovvero la domenica di sangue (o strage del Bogside), uno degli episodi più atroci dei cosiddetti troubles, il conflitto per l’indipendenza delll’Irlanda del Nord dal Regno Unito, che dal 1969 ha causato oltre 3.600 morti.

Riproponiamo alcuni stralci dell’intervento che uno dei protagonisti dell’Accordo di pace, l’ex senatore statunitense George J. Mitchell, ha pronunciato nell’aprile scorso alla Queen’s University di Belfast

di George J. Mitchell

Questa pace è stata una lezione per il mondo sull’arte del possibile. Dove altri vedevano conflitti, la gente di quest’isola vedeva speranza. Dove altri vedevano divisione, la gente vedeva possibilità. Dove altri vedevano spargimenti di sangue, la gente vedeva percorsi verso un domani di pace. Un domani condiviso. Un domani plurale. Quando abbiamo raggiunto un accordo, tanti anni fa, abbiamo affermato che le tragedie del passato hanno lasciato un’eredità di sofferenza e che non potevamo dimenticare coloro che sono morti o che sono stati feriti. Abbiamo anche detto che ci saremmo sempre presi cura delle famiglie che hanno dovuto affrontare le difficoltà della guarigione.

Abbiamo chiesto un nuovo inizio in cui ci siamo dedicati alla riconciliazione, alla tolleranza, alla fiducia reciproca e alla tutela dei diritti umani per tutti. Abbiamo promesso di impegnarci in ogni modo pratico per la riconciliazione e il riavvicinamento. A volte poche persone piene di speranza possono contribuire a creare un clima di cambiamento che poi appartiene a ognuno di noi. Lo scrittore americano James Baldwin una volta disse: «Non tutto ciò che si affronta può essere cambiato, ma nulla può essere cambiato finché non lo si affronta».

Ho visto quasi un secolo intero di cambiamenti, molti dei quali turbolenti, ma molti dei quali trasformativi. In questo cambiamento, un’altra cosa è rimasta costante per me: la convinzione che nulla sia insormontabile, se c’è la volontà dello spirito umano di credere nella possibilità dell’altro. Idee un tempo considerate assurde o esagerate diventano presto il pane dei nostri giorni. Chi avrebbe potuto credere nella possibilità della pace quando così tante bombe sono esplose, quando così tante barricate sono state erette, quando così tante promesse sono state infrante, quando così tanti posti di blocco hanno chiuso le strade?

La pace non sembrava possibile nel 1968. Né nel 1974. Né nel 1981. Neanche, in effetti, devo ammetterlo, nel 1998 quando, quattro mesi dopo l’Accordo, il terribile attentato di Omagh ci ha scosso nel profondo. Non eravamo sicuri di poterci riprendere. Ma lo abbiamo fatto. Insieme. La pace è stata promossa, preservata e incoraggiata. Ora, francamente, sembra normale. Le città sono luminose. I paesi sono vivaci. I villaggi lungo il vecchio confine sono sereni.

Se vogliamo continuare a prosperare, è necessaria una profonda e adeguata contemplazione del futuro. Dobbiamo pensare dove stiamo andando e come ci arriveremo tutti. Se lo facciamo bene, i risultati illumineranno il mondo. Se lo facciamo male, l’oscurità potrebbe ritornare. La pace che abbiamo creato e di cui abbiamo goduto dal 1998 deve evolversi. Il lavoro è costantemente incompiuto. Dobbiamo riconoscere il passato, ma non esserne legati. È nostro compito rinnovarci continuamente. Il futuro risiede nel mondo che abbiamo già creato. Tanto lavoro è già stato fatto. Tanto altro deve seguire. Abbiamo bisogno di pensiero attivo e di una pianificazione attiva.

Purtroppo, viviamo in un’epoca in cui molti luoghi sono distrutti. Guerre civili. Fazioni contrapposte. Accordi e paesi frantumati. Distruzione volontaria. Disinformazione. Riluttanza ad abbracciare dei progressi. Questo sta accadendo in tutto il mondo. Ma questi paesi possono guardare a quest’isola come a un faro di impegno pacifico.

Ho avuto la fortuna di partecipare alla stesura dell’accordo. Fu facile? Certamente no. Ci vollero molti anni. E molta pazienza, resistenza, desiderio, coraggio. E persuasioni. E sacrificio personale e politico. Ma alla fine, abbiamo visto politici, funzionari pubblici e gente comune unirsi superando le divisioni.

Il cambiamento nasce da un insieme di azioni personali.

Perché la pace fiorisca … abbiamo bisogno che gli studenti si incontrino, di persona e virtualmente … Abbiamo bisogno di madri che incontrino altre madri, anche, e forse soprattutto, quelle che hanno subito un lutto.

In tutto questo, devo anche mettere in guardia dal fatto che non ci si può mai aspettare un risultato perfetto … Non è realistico aspettarsi che il futuro sia un giardino di rose. Non è mai così. Ci sarà sempre una spina qua e là.

Dobbiamo prendere i pesi insieme. Non dobbiamo lasciarci distrarre dal ronzio di quelle persone ottuse che vogliono restringere i sentieri del nostro pensiero. Dobbiamo costruire il consenso. Dobbiamo abbracciare le difficoltà … ascoltarci a vicenda. E ascoltare bene.

Non permettete che la polvere delle bombe oscuri i venti del cambiamento … una manciata di persone piene di speranza può creare quel cambiamento. La speranza incontra la speranza. E quella speranza crea un’onda travolgente.

L’ho già detto, ma a volte la verità va ripetuta più e più volte: ciò che accade qui, può accadere altrove. Può accadere ovunque.


Leggi anche:

Quando l'impossibile avviene
di Andrea Monda