Madre, maestra di fede

Istruita dal Maestro interiore nella scuola del cuore
di Rocco Ronzani*
Madre, maestra di fede e donna di pace. Sono questi i lineamenti essenziali del volto di santa Monica che tratteggia, nelle sue opere, il figlio Agostino, la cui riflessione teologica e spirituale risente in misura assai ampia delle esperienze vissute e, in particolare, dell’educazione cristiana che gli impartì sua madre fin dall’infanzia.
Negli scritti di Agostino, il primo riferimento a Monica si trova nel dialogo di Cassiciaco sulla felicità, De beata vita: Monica è immagine della vera sapienza e Agostino le attribuisce il merito di «tutto quello che sta vivendo» (I, 6). Nella campagna dell’odierna Brianza, infatti, egli maturò la conversione che lo avrebbe condotto al battesimo, la vocazione alla vita ascetica e la decisione di tornare in Africa per vivere gli ideali evangelici e dedicarsi alla ricerca di Dio. Qui, poi, sarebbe diventato presbitero e vescovo.
Nel De ordine spiega il ruolo della madre nella conversione: «Io credo senza incertezze e affermo che per le tue preghiere, [madre], Dio mi ha concesso l’intenzione di non preporre, non volere, non pensare, non amare altro che il raggiungimento della verità» (II, 20, 52). Agostino ne scriverà ancora nelle Confessioni e altrove, fino al termine della vita. Nel De dono perseverantiae precisa: «In quei libri [Confessioni] ho narrato della mia conversione … con il mio racconto mostrai che mi fu concesso di non perire grazie alle lacrime quotidiane e piene di fede di mia madre» (20, 53).
Monica è modello di fede semplice e profonda, animata dall’amore, dall’ascolto delle sacre Scritture (De ordine I, 11, 32; II, 17, 46) e dalla preghiera della comunità: «Non lasciava passare giornata senza recare l’offerta all’altare»; «due volte al giorno, mattina e sera, visitava la chiesa … per udire la parola di Dio e far udire a Dio la propria parola» (Confessioni V, 9, 17). Agostino ne esalta la virtù della speranza e ne elogia la fede (I, 11, 17). È la madre a instillare nel cuore del figlio l’amore al nome di Cristo: «Quel nome … nel latte stesso della madre, tenero ancora il mio cuore aveva devotamente succhiato e conservava nel suo profondo. Così qualsiasi opera ne mancasse, fosse pure dotta e forbita e veritiera, non poteva conquistarmi totalmente» (III, 4, 8).
La vita di Monica, segnata dall’iniziativa di Dio, è ripercorsa per tappe nel libro IX delle Confessioni, dall’infanzia fino alla morte. «Tu la creasti senza che neppure il padre e la madre sapessero quale figlia avrebbero avuto» (IX, 8, 17); «Mia madre fu allevata nella modestia e nella sobrietà, sottomessa piuttosto da te ai genitori, che non dai genitori a te» (IX, 9, 19). Nel rapporto con il marito Patrizio, iracondo e adultero, Dio è presente e opera lei: «Si adoperò per guadagnarlo a te [o Dio], parlandogli di te attraverso le virtù di cui tu la facevi bella e con cui le meritavi il suo affetto rispettoso e ammirato» (IX, 9, 19).
Agostino è grato a Dio anche per la capacità di Monica di portare pace nelle discordie: «Mia madre faceva proprio questo, istruita da te, il Maestro interiore, nella scuola del cuore» (IX, 9, 19). Quanto riferisce della madre potrebbe a ragione affermarlo di sé che, nei lunghi anni di ministero, spese le migliori energie per comporre scismi e sanare i morsi delle eresie che laceravano il corpo ecclesiale, attribuendone il merito unicamente a Dio che illumina i discepoli «nella scuola del cuore» ed effonde, per mezzo dello Spirito Santo, la soave carità che genera l’unità.
Nel narrare gli ultimi giorni di vita di Monica, Agostino descrive l’ultimo colloquio con la madre. Come ogni genitore, anche Monica aveva avuto le sue aspirazioni: una brillante carriera per il figlio e vederlo sposato, un nugolo di nipoti, ma soprattutto saperlo cristiano cattolico prima di morire. Quando Agostino abbraccia totalmente la fede, Monica, ormai matura nel suo cammino spirituale, confessa: «Il mio Dio mi ha concesso più di quanto mai potessi sperare: di vederti addirittura disprezzare la felicità terrena per metterti al suo servizio» (IX, 10, 26).
Non c’era davvero più motivo di indugiare in questa vita; era stata esaudita oltre ogni aspirazione. Per altro, lei che si era sempre preoccupata della sepoltura, preparata con cura accanto a quella del marito, ora raccomanda ai figli di tumulare «questo corpo dove che sia, senza darvene pena», pregandoli di una sola cosa: «Ricordatevi di me, dovunque siate, innanzi all’altare del Signore» (IX, 11, 27). È l’ultimo magistero di una donna semplice che aveva sperimentato la potenza della grazia e la forza della comunione dei santi.
Monica, i cui meriti sono splendido coronamento dei doni di Dio, è stata per il figlio la prima immagine della Chiesa, bisognosa di purificazione, fiduciosa nella preghiera, sempre in cammino. Il modello scritturistico dell’una e dell’altra, della madre Monica e della madre Chiesa, è la vedova di Nain e le sue lacrime, come ci aiuta a comprendere Agostino raccontando: «[Mia madre] mi considerava come un morto, ma un morto da risuscitare con le sue lacrime versate innanzi a te e che ti presentava sopra il feretro del suo pensiero affinché tu dicessi a questo figlio della vedova: “Giovane, dico a te, alzati”, ed egli ritornasse a vivere e cominciasse a parlare e tu lo restituissi a sua madre» (Confessioni VI, 1, 1). E in riferimento alla fede della madre Chiesa, che con le preghiere e le lacrime è strumento di salvezza per l’umanità, riflette: «Cosa poteva giovare al figlio della vedova la propria fede che, essendo morto, certamente neanche aveva? Ma per risuscitare gli giovò la fede della madre» (De libero arbitrio III, 23, 67).
Facendo memoria della santa madre di Agostino, possiamo prendere in prestito queste sue: «Io, al pensiero dei doni che spargi, Dio invisibile, nei cuori dei tuoi fedeli, e che vi fanno nascere stupende messi, gioivo e a te rendevo grazie» (Confessioni IX, 11, 28). E anche noi, grati a Dio, gioiamo con lui.
*Agostiniano, prefetto dell’Archivio Apostolico Vaticano
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