
Tel Aviv, 8. «Israele fermi immediatamente il piano per la completa conquista militare di Gaza». L’Alto commissario Onu per i Diritti umani, Volker Türk, affida a X l’appello — forte, ma anche angosciato — dopo la decisione del gabinetto di Benjamin Netanyahu di procedere con l’occupazione della Striscia. Un progetto, diventato ufficiale nella notte di ieri dopo una rinione fiume di 10 ore, che, prosegue il rappresentante delle Nazioni Unite, «va contro il pronunciamento della Corte internazionale di Giustizia che chiede a Israele di porre fine all’occupazione il prima possibile»; contrasta con «la realizzazione della soluzione a due Stati concordata» e viola dunque «il diritto dei palestinesi all’autodeterminazione».
Anche perché, è la conclusione, «alla luce di tutte le prove raccolte finora, questa ulteriore escalation provocherà ulteriori sfollamenti di massa, ulteriori uccisioni, ulteriori sofferenze intollerabili, distruzioni insensate e crimini atroci». Insomma, renderà ancora più drammatica una situazione che nella Striscia è diventata ormai insostenibile per la popolazione, provata da 23 mesi di barbarie.
Un grido d’allarme che si rivolge anche a entrambe le parti in conflitto affinché trovino il modo di tornare al tavolo negoziale ponendo subito fine a una guerra che ha reso l’enclave un cumulo di macerie, di morti e di disperazione.
Ma l’esecutivo Netanyahu ha più volte dimostrato di non voler credere ad altra soluzione se non al controllo totale della Striscia, anche sulla scia delle pressioni dei ministri appartenenti alla destra religiosa estremista. Le indiscrezioni fatte filtrare dall’entourage del premier israeliano nei giorni scorsi hanno trovato ieri un’esplicitazione concreta nel piano votato «a maggiornaza», che prevede l’accerchiamento di Gaza City e il trasferimento forzato di circa un milione di residenti nella parte meridionale del territorio palestinese, con un timing simbolico nella sua tragicità, ovvero entro il 7 ottobre. Un’operazione complicata anche dal punto di vista logistico, perché comporta peraltro lo sfollamento di centiania di migliaia di feriti e persone che necessitano di cure speciali e che, per muoversi, avrebbero bisogno di supporto e assistenza particolari. Da Tel Aviv però tirano dritto fissando cinque «principi per porre fine alla guerra»: disarmo totale di Hamas; restituzione di tutti gli ostaggi, vivi o deceduti; smilitarizzazione della Striscia; controllo di sicurezza israeliano; istituzione di un governo civile alternativo a Hamas, ma anche all’Autorità nazionale palestinese, e che quindi ricadrebbe su altre «forze arabe». Non un’annessione, ma «un regime militare» di controllo, dice Netanyahu.
«Un disastro» lo ha definito il leader dell’opposizione, Yair Lapid, che porterà «alla morte degli ostaggi, all’uccisione di molti soldati, costerà decine di miliardi e porterà a un collasso diplomatico». Ovvero, «esattamente quello che voleva Hamas»: «intrappolare sul campo Israele senza uno scopo».
Oltre alla prevedibile reazione di Hamas («l’aggressione avrà un prezzo doloroso»), la decisione ha provocato durissimi scontri verbali anche tra rappresentanti dei diversi poteri istituzionali. Il capo di Stato maggiore dell’Idf, Eyal Zamir, ieri ha espresso la sua contrarietà al piano dichiarando, in risposta al ministro Itamar Ben-Gvir che gli intimava di adeguarsi sempre alle decisioni della politica, di voler continuare a esprimere le proprie posizioni di dissenso «senza timore», e confessando che «la conquista della Striscia trascinerà Israele in un buco nero». Accese le proteste delle famiglie degli ostaggi, che oltre ad aver manifestato nelle piazze e, ieri, anche in mare aperto su una flottiglia partita da Ashkelon verso il confine marittimo con la Striscia, hanno accusato Netanyahu di aver «condannato a morte» i loro cari.
A Gaza intanto si continua a morire e a soffrire per la fame. Nel mese di luglio si è registrato il più alto tasso mensile di malnutrizione acuta infantile (12.000 bambini sotto i cinque anni), con un aumento dei decessi legati all’assenza di viveri, fa sapere l’Oms. (roberto paglialonga)
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