Energia pura

di Marco Lodoli
E finalmente Roma soffia via la polvere, almeno per qualche giorno diventa una città strapiena di ragazzi arrivati da tutte le parti del mondo per il Giubileo dei giovani. È energia pura che riempie gli occhi e il cuore e rilancia molte speranze. La città negli ultimi anni è tristemente invecchiata, molti quartieri sembrano centri anziani, i ragazzi se ne vanno all’estero, se possono, perché qui non trovano casa, lavoro, occasioni, e tutto il centro è popolato solo da turisti che in due o tre giorni vogliono vedere tutto, fotografare tutto, e che vagano per le strade con i piedi gonfi, le magliette sudate, una bottiglia d’acqua calda in mano e un vago senso di abbrutimento. E invece ora tutta Roma è popolata da adolescenti pieni di gioia, di aspettative, felici di partecipare a questa grande esperienza collettiva, di condividere la felicità di essere qui e di vivere insieme questi momenti straordinari.
Guardo i ragazzi e le ragazze scorrere a migliaia lungo le vie che portano a San Pietro o al Circo Massimo e penso che loro sono davvero la controcultura di questi anni, loro rappresentano un altro modo di sentire la vita in un mondo dominato dal narcisismo, dalla vanità, dalla solitudine e dalla disperazione, dalla competizione esasperata e dalle guerre più terribili e assurde. Semplicemente questi ragazzi non credono che basti un tatuaggio o un bel paio di occhiali da sole per dare un senso alla propria esistenza, che l’obiettivo non può essere il successo a tutti i costi, un orologio costoso o una macchina lussuosa da sbattere in faccia agli altri. Credono che ci sia qualcosa di più profondo e più importante dello sballo di un sabato sera, istintivamente, senza aver studiato chissà quali complicati teologi, sentono che la vita che passa è collegata tramite l’amore all’eternità, percepiscono la trascendenza, l’assoluto, il cielo celeste che avvolge la terra. E sentono che bisogna impegnarsi per rendere questa vita migliore, ascoltare la voce e la pena degli altri, provare a cambiare le cose, aiutare gli ultimi, i penultimi, tutti quelli che stentano e soffrono.
Sono i testimoni e gli artefici di una vera opposizione ai valori dominanti nella nostra epoca, così individualista, cinica, indifferente. E ora portano il loro sorriso a Roma, sugli autobus, nella metro, per le strade suonano e cantano canzoni religiose, ma anche le canzoni di Cremonini, Olly, Jovanotti, perché sono figli di questo tempo ma vogliono diventare padri e madri di un tempo nuovo, più generoso, più giusto. Ho parlato con tanti di questi ragazzi: nemmeno uno si lascia andare a sterili lamenti e recriminazioni, nemmeno uno cede al vittimismo e al piagnisteo tipici di questi anni. Sono scandalosamente felici di far parte di un popolo che crede nel rinnovamento e che si prodiga amorosamente affinché qualcosa cambi.
È un’onda altissima d’acqua limpida, che solleva l’anima di chiunque li guardi e li ascolti. «È bello vedere che siamo così tanti — mi dice Federico che arriva da Brescia insieme ai suoi amici — e che tutti crediamo in una vita diversa, nella pace universale, in un mondo senza più sopraffazioni e violenze, senza più la smania infelice di prevalere sugli altri». E Maria, spagnola, diciassette anni mi dice «Roma è bellissima, lo è sempre stata, ma ora ancora di più perché migliaia e migliaia di ragazzi spingono verso un futuro migliore, è difficile ma noi portiamo una speranza immensa».
Al Circo Massimo ho visto duecento confessionali, un accampamento di tende bianche in attesa delle parole private e segrete di questi giovani. Ho pensato: ma quali peccati possono confessare? Quali colpe hanno? E Vittorio, un ragazzo veneto, mi dice che la confessione in fondo è un modo per riflettere su se stessi, sulla propria esistenza, un momento di indagine interiore. È il sacramento della riconciliazione, ma con chi? «Con Dio — mi risponde — ma in fondo anche con se stessi, con la propria confusione, con i propri desideri e le proprie paure. È un momento di sincerità in cui cadono tutte le finzioni, tutte le maschere, in cui ognuno si racconta per quello che veramente è e per quello che vorrebbe essere».
Vittorio ha ragione, è così importante capire chi siamo, cosa vogliamo, dove ci siamo smarriti e come possiamo ripartire, più consapevoli e chiari. C’è bisogno di fare luce nell’oscurità, di vedersi e di capirsi meglio, di raccontarsi per afferrare la propria storia, che ogni giorno ricomincia e cerca la strada giusta. Tutti questi ragazzi possono insegnare molto a noi adulti, che ripetiamo ciecamente i soliti sbagli e siamo ostinati o rassegnati. Mi torna in mente Pascoli e la sua idea poetica del fanciullino che ride e si commuove, e penso che più che l’infanzia, ancora serenamente lieta e inconsapevole, è l’adolescenza l’età chiave della nostra vita, quella che dovremmo mantenere sempre dentro di noi, perché l’adolescenza già percepisce il dolore del mondo, l’imperfezione, il senso della vita che fugge, ma immagina e sogna un’esistenza diversa, guidata da grandi speranze, da illusioni fragili ma decisive, dalla dolcezza e dall’amore. E queste migliaia di adolescenti sono qui a ricordarcelo: la vita è difficile, spesso dolorosa, ma può cambiare se ascoltiamo quella voce interiore che ci porta verso gli altri, verso una luce che può illuminare il mondo. «Mi ricorderò per sempre questi giorni — mi dice Lucia, romana — me li porterò dentro per tutta la vita, anche quando sarò grande e poi vecchia, perché sono giorni speciali in cui ho sentito che Dio è vicino a tutti noi e ci protegge e ci ama, sì, questo sentimento non lo dimenticherò mai».
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