
di Paolo Ricciardi*
Oggi non possiamo non guardare alle migliaia di giovani che affollano Tor Vergata, a Roma, per il loro Giubileo.
Vedo volti e vestiti di vari colori, cappelli, bandiere, sacchi a pelo, telefoni, tatuaggi, abbracci e tanta gioia nello stare insieme. Sento i canti, le risate, le lacrime … in tutte le lingue del mondo.
E, mentre nel Vangelo di questa domenica un tale tra la folla pone una richiesta a Gesù — «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità» (Lc 12, 13) —, mi chiedo se questi pellegrini di speranza stiano raccogliendo l’eredità di qualcun altro, forse dei Papi precedenti, forse dei loro genitori, forse dei loro educatori, forse di chi era più o meno nello stesso luogo nell’agosto di 25 anni fa.
Le questioni di eredità spesso dividono i figli, per i quali i genitori hanno lavorato a lungo per lasciar qualcosa. Eppure, se lasceremo solo le ricchezze materiali, queste divideranno sempre. Se doneremo Dio, sarà l’unica Ricchezza che unirà e aumenterà sempre, perché si moltiplica donandola agli altri. Per i giovani riuniti a Roma, oggi è in ballo la vera Ricchezza. Tentati anche loro, come tutti, dal credere che la vita dipenda da quello che hanno, il Signore, con l’abbraccio del Papa e della Chiesa, ricorda che essi valgono per quello che sono.
Ognuno di loro è prezioso agli occhi di Dio.
Ognuno è chiamato ad essere pellegrino della Speranza che non delude.
Tra i ragazzi della comunità di cui ero allora viceparroco a Roma, nel tempo splendido della Giornata mondiale della gioventù del 2000, c’era anche Gianluca, un gigante con lo sguardo da bambino. Gianluca morì di tumore, a 28 anni, nel 2007. Anche a lui, come al ricco del vangelo di oggi, ma pieno della ricchezza particolare che è la giovinezza, gli è stata richiesta la vita, solo sette anni dopo il Giubileo. «E quello che aveva preparato, a chi è andato?» (cfr. Lc 12, 21).
Gianluca uscì dall’esperienza di Tor Vergata con una pienezza del cuore, come tanti altri giovani del 2000. Negli anni successivi è stato capace, condividendo il pane della bontà e della sofferenza, di arricchirsi davanti a Dio, con l’amore che aveva ricevuto.
Ricordo che, nell’ultimo incontro che ebbi con lui, pochi giorni prima che morisse, mi raccontò commosso che era stato ricoverato proprio al policlinico di Tor Vergata e, dalla finestra della stanza, poteva rivedere la grande croce della Gmg. Quel segno, accompagnato dallo sguardo e dalle parole del Papa, continuava a dargli forza. Era rimasto per lui un ricordo vivo di un’esperienza indimenticabile.
Quei due giorni a Tor Vergata erano stati per lui la vera ricchezza che lo aveva confermato nella gioia dell’essere cristiano insieme ad altri.
Oso credere che i giovani di questo Giubileo 2025 siano anche eredi di Gianluca e di altri che, per vari motivi, sono già entrati nel Giubileo della Giovinezza eterna.
*Vescovo di Jesi