Sudan

La sofferenza del popolo del Sudan — per quasi la metà in crisi alimentare, a causa della brutale guerra che da esattamente due anni insanguina il Paese costringendo milioni di persone a lasciare le proprie case — «grida al cielo e ci implora di agire». Un appello, quello lanciato da Papa Francesco nell’Angelus di domenica scorsa, che non deve cadere nel vuoto mentre questa guerra “dimenticata” appare purtroppo destinata a proseguire ben oltre il «triste anniversario» odierno. Una lotta di potere tra l’esercito regolare guidato dal presidente de facto, Abdel Fattah Al-Buhran, e le Forze di supporto rapido (Rsf) di Mohamed Hamdan Dagalo, che ha causato quasi 13 milioni di sfollati; oltre 3 milioni di profughi fuggiti nelle nazioni limitrofe, soprattutto in Ciad, Egitto e Sud Sudan; decine di migliaia di morti.
Mentre oggi a Londra è in programma una conferenza internazionale — contestata dal governo sudanese, non invitato, perché riunisce sia l’alleata Arabia Saudita che gli Emirati Arabi Uniti vicini ai ribelli delle Rsf —, le ultime notizie dal terreno sono tutt’altro che rassicuranti. Tra le 60.000 e le 80.000 famiglie — ovvero quasi 400.000 persone, secondo le stime dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) — sono state costrette ad abbandonare il campo profughi di Zamzan, conquistato dalle Rsf dopo una feroce battaglia negli ultimi giorni. Si tratta del più grande campo profughi nel territorio sudanese, che ha ospitato in questi mesi oltre mezzo milione di persone già costrette alla fuga da altre zone del Paese devastate dai combattimenti. Il campo si trova alla periferia della città di El-Fasher, capoluogo del Darfur settentrionale, assediata dal maggio 2024 dai ribelli Rsf. Dopo la riconquista da parte dell’esercito della capitale Khartoum, lo scorso marzo, le Rsf hanno intensificato gli attacchi su El-Fasher e sui campi profughi limitrofi. Fonti locali citate dai media internazionali riferiscono di oltre 400 vittime solo questo fine settimana.
L’eventuale caduta di El-Fasher, centro di due milioni di abitanti, preoccupa l’Onu. Il Sudan rischia la frammentazione: l’esercito di Al-Buhran a controllare il centro-est, fino alla località strategica sul Mar Rosso di Port Sudan; Dagalo a fare da padrone nel Darfur e nel sud-ovest. Si tratta di vaste aree desertiche fino al confine con il Ciad, dove sono presenti molte miniere d’oro illegali. Aree difficili da controllare, dove già nei primi anni Duemila i Janjaweed (Demoni a cavallo) hanno commesso brutalità valse all’ex presidente Omar al-Bashir l’accusa di genocidio da parte della Corte penale internazionale. E dove ancora oggi le milizie arabe imperversano, in una crisi irrisolta che si consuma a danno dei più vulnerabili.
Il feroce scontro tra Al-Buhran e Dagalo sta dilaniando il Sudan, causando immani sofferenze a milioni di persone senza spiragli di soluzioni sul piano militare, mentre appare urgente un ritorno allo spirito che li vide uniti nel 2019 nel mettere fine alla trentennale dittatura di Al-Bashir. (valerio palombaro)
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