Il 10 aprile di settant’anni fa moriva Pierre Teilhard de Chardin

di Antonio Spadaro
Nel deserto dell’Asia centrale, tra le sabbie rosse del Gobi, il giovane sacerdote gesuita Pierre Teilhard de Chardin, in missione scientifica, celebrava nel 1923 una preghiera senza pane né vino, ma con il mondo intero come materia del sacrificio: «La Messa sul mondo». In quella preghiera, che scaturisce dal silenzio e dalla contemplazione della natura, il cosmo stesso veniva offerto al Padre per mezzo del Figlio. Un secolo dopo, in quello stesso luogo — l’area desertica di Ordos, oggi in Mongolia — Papa Francesco, il 2 settembre 2023, ha voluto ricordare proprio quella preghiera di Teilhard, definendolo «un sacerdote spesso incompreso», che però «aveva intuito che “l’Eucaristia è sempre celebrata, in un certo senso, sull’altare del mondo” ed è “il centro vitale dell’universo, il centro traboccante di amore e di vita inesauribile”, anche in un tempo come il nostro di tensioni e di guerre».
Il gesto del Pontefice non è stato solamente commemorativo. Esso ha illuminato una sintonia profonda tra la visione cosmica di Teilhard de Chardin e il cuore stesso del suo magistero. Non si tratta di una ripresa acritica o di un’adesione dottrinale totale, bensì della valorizzazione di un’intuizione spirituale e teologica che, per lungo tempo, ha rappresentato una delle voci più profetiche — e più marginalizzate — del cattolicesimo novecentesco.
Teilhard de Chardin fu sacerdote, scienziato, teologo e mistico. Nato nel 1881 in Francia, gesuita e paleontologo, visse l’esperienza delle due guerre mondiali, studiò le origini dell’uomo, lavorò in Cina e in Africa, sempre tenendo insieme il rigore della scienza e l’ardore della fede. Il suo pensiero si colloca all’incrocio tra evoluzionismo, antropologia e cristologia. Secondo la sua visione, l’universo non è un insieme caotico di fenomeni, ma un processo orientato: la creazione evolve, cresce, si complica, si interiorizza, si personalizza. Tutto tende verso un punto culminante: il Cristo risorto, che egli chiama Punto Omega.
È un’evoluzione non solamente biologica, ma spirituale. Il cammino del cosmo trova in Cristo la sua direzione e la sua pienezza. In questa prospettiva, il Risorto non è semplicemente il centro della storia della salvezza, ma il centro dell’universo: Colui che lo anima, lo attira, lo trasfigura. Come scrive Papa Francesco nell’enciclica Laudato si’: «Il traguardo del cammino dell’universo è nella pienezza di Dio, che è stata già raggiunta da Cristo risorto, fulcro della maturazione universale» (Ls, 83).
Questo orientamento cristocentrico dell’evoluzione cosmica è il tratto distintivo del pensiero teilhardiano. In una nota dello stesso paragrafo, Francesco riconosce esplicitamente «il contributo del P. Teilhard de Chardin». Così, nella grande visione integrale della Laudato si’, il Pontefice assume, pur trasfigurandole, alcune delle intuizioni fondamentali del gesuita francese.
È nell’Eucaristia che tale visione raggiunge la sua più alta espressione. Per Teilhard, il pane e il vino non sono solo elementi sacri, ma i segni dell’intero universo offerto a Dio: «La materia stessa diventa ostia, l’universo intero diviene calice», scrive nella sua Messa sul mondo. Papa Francesco riprende questa intuizione con parole di valore mistico: «Nell’Eucaristia il Signore, al culmine del mistero dell’Incarnazione, volle raggiungere la nostra intimità attraverso un frammento di materia (...). Nell’Eucaristia è già realizzata la pienezza, ed è il centro vitale dell’universo, il centro traboccante di amore e di vita inesauribile» (Ls, 236).
Questa «liturgia cosmica» — come l’ha definita anche Benedetto xvi — restituisce all’universo il suo significato più profondo: essere destinato alla comunione. La materia, non è una realtà inferiore o caduca, ma il luogo dell’incontro tra Dio e l’uomo.
L’iniziale ricezione ecclesiale del pensiero di Teilhard fu prudente. Il Monitum del Sant’Uffizio del 1962, pur non condannando formalmente, metteva in guardia da interpretazioni considerate speculative o non compatibili con la dottrina cattolica. Tuttavia, già Paolo vi e Giovanni Paolo ii avevano avviato una riflessione più aperta. Joseph Ratzinger, da teologo, riconobbe il merito di Teilhard nel reinterpretare la cristologia paolina alla luce della concezione moderna del cosmo.
Papa Francesco, in continuità con i suoi predecessori, ha portato a maturazione questa ricezione. Ma vi è in lui anche un apprezzamento specifico per la figura del gesuita Teilhard, che va oltre la teologia. Nell’intervista che gli feci nel 2013, a tre mesi dalla sua elezione, per «La Civiltà Cattolica» e le riviste della Compagnia di Gesù, Francesco ha delineato il tipo di gesuita che corrisponde alla sua visione ecclesiale, affermando che «deve essere una persona dal pensiero incompleto, dal pensiero aperto». E ancora: «Il gesuita pensa sempre, in continuazione, guardando l’orizzonte verso il quale deve andare, avendo Cristo al centro». Il ritratto corrisponde a Teilhard, uomo libero, creativo, profondamente immerso nel suo tempo, eppure sempre in tensione verso il Punto Omega. Ha vissuto «ai confini» — geografici, culturali, scientifici — senza mai smarrire la bussola del Vangelo. La sua mistica, come la sua scienza, non sono mai autoreferenziali, ma sempre orientate al Cristo vivente.
In un’epoca in cui il rapporto tra uomo e natura è segnato da crisi e fratture, la visione teilhardiana acquista nuova urgenza. Papa Francesco ha fatto dell’ecologia integrale uno dei nuclei centrali del suo pontificato. In essa risuona l’eco di un pensiero che già negli anni Trenta del Novecento parlava di «complessità», di «interconnessione», di «coscienza planetaria».
Teilhard invita a leggere il mondo non come oggetto da sfruttare, ma come creatura in gestazione. L’universo stesso, scriveva, è una realtà «gravida» di Dio, in cammino verso la pienezza. E ciò che lo anima è una forza radicale: l’amore. Non solamente un sentimento, ma il principio di coesione dell’intero reale. Per questo Francesco può affermare: «Tutto è in relazione» (Ls, 92).
In questo intreccio tra fede e scienza, tra cosmologia e liturgia, tra evoluzione e salvezza, si apre un cammino possibile per il pensiero cristiano contemporaneo. Teilhard de Chardin non offre risposte facili, ma interroga profondamente. Papa Francesco, facendo memoria del suo nome, lo riconduce all’interno di quella grande tradizione cattolica che sa accogliere la profezia, riconoscere l’audacia e custodire l’intelligenza spirituale.
Una Chiesa che prega sull’altare del mondo non può che guardare con gratitudine a questo gesuita della frontiera, in cui l’amore per il Cristo si è fatto fuoco nel cuore della materia.
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