Luoghi e uomini

In questa Giornata internazionale della fratellanza umana, 4 febbraio, che cade quest’anno durante il Giubileo della speranza, ci facciamo condurre nel deserto dell’Iraq, alla tomba del profeta Ezechiele (luogo caro ad ebrei, cristiani e musulmani) che il cardinale al tempo nunzio apostolico in Iraq e oggi gran maestro dell’Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme ci indica come un luogo della speranza.
di Fernando Filoni
Il Giubileo della Chiesa cattolica è già partito e Papa Francesco lo ha dedicato alla speranza. C’è un luogo della speranza che mi piace qui ricordare perché ignoto a tantissimi (eppure così importante per la storia della rivelazione divina) e anche a quegli stessi popoli del Medio Oriente che, a motivo delle guerre, delle divisioni etniche e religiose, lo hanno addirittura quasi dimenticato.
Nella primavera del 2002, accompagnato da alcuni amici iracheni, andai “pellegrino” a Kafel-al-Hilla. Non lontano sorgono i resti dell’antica Babilonia dei Caldei; più a sud, ad al-Najaf, risiede oggi l’alta autorità spirituale degli sciiti, il grande ayatollah al-Sistani, che il 6 marzo 2021 fu visitato da Papa Francesco. Un momento indimenticabile per musulmani sciiti e cristiani. A Kafel-al-Hilla si trova un’antica sinagoga con scritte in ebraico ben visibili, meta di pellegrinaggi di musulmani e dei pochi cristiani che si avventurano fin là, ma di nessun ebreo, da quando le ultime comunità furono espulse dall’Iraq a seguito delle guerre arabo-israeliane del secolo scorso. Là un’antica tradizione indica l’esistenza della tomba di Ezechiele profeta. Il luogo è sacro. Il sepolcro è circondato da una grata che lo protegge; questo è un sito di preghiera, molto amato specialmente dalle donne sciite che vi si recano per chiedere aiuto per una maternità incipiente o in fase conclusiva. Oggi dovremmo aggiungere per la pace, la concordia tra i popoli e il rispetto dei diritti religiosi di tutti.
Ezechiele profeta, dunque, là è ancora vivo nella venerazione di tanti. Se nella regione babilonese si dice che aleggi lo spirito di Ezechiele profeta, lì deportato nel 597 avanti Cristo con Joachim, re di Giuda, a Ninive (oggi Mosul, a nord dell’Iraq) si dice che aleggi ugualmente lo spirito di Giona, il predicatore della conversione, ma la sua tomba, profanata e distrutta recentemente dall’Isis, sarà ancora luogo di speranza?
Biblicamente parlando, Ezechiele è considerato il profeta dello Spirito di Dio; egli, con visioni grandiose, esortava gli esuli, consolava ed educava alla speranza, ricordando che Dio stesso darà «un cuore nuovo e uno spirito nuovo» (Ezechiele, 11, 19). Di lui si ricorda in particolare la visione emozionante della pianura di ossa aride (cfr. ibidem, 37, 1-14) che si animano e riprendono fattezza umana tanto da formare una moltitudine sterminata di esseri viventi; tale visione porta con sé, per sempre, un oracolo del Dio altissimo di fraternità per tutti i popoli. È stato poi scritto che Ezechiele predicasse la benevolenza divina, che precede il pentimento: un’intuizione spirituale che aiuta a riflettere sulla prossimità della grazia.
Nei giorni bui di Isis, quando nell’estate del 2014 veniva occupata Mosul e poi buona parte della Piana di Ninive e migliaia di cristiani, yazidi e musulmani erano costretti a fuggire cercando scampo nel Kurdistan orientale e settentrionale, il Papa concepiva l’idea di un viaggio in quella regione. L’instabilità dell’Iraq procrastinò lungamente quella visita apostolica a cui si erano poi aggiunte anche le preoccupazioni per il covid-19. La visita pastorale di inizio marzo del 2021 fu un gesto di intensa solidarietà e di speranza e, in una terra troppe volte sconvolta dagli odi, tornavano alla mente le parole non solo del menzionato Giona a Ninive (viii secolo avanti Cristo) ma anche quelle di Nahum nell’Assiria (vii secolo avanti Cristo) e appunto di Ezechiele a Babilonia (vi secolo avanti Cristo).
Uomini della speranza e luoghi, che in tante circostanze, sono divenuti simbolo di ritorno a Dio e di solidarietà, così agognata anche oggi in tempi di difficoltà. Nel tempo dell’afflizione, insegna la sacra Scrittura, Dio visita il suo popolo; lo ricorda il Libro dell’Esodo (cfr. 4, 31) e lo pensava la folla al tempo di Gesù perché il bene che Cristo compiva realmente infondeva fiducia e faceva capire che il Signore stava visitando il suo popolo (cfr. Luca, 7, 16).
In tutto il Medio Oriente, e specialmente oggi in Israele, Palestina, Siria, Libano, Iran e Iraq c’è ancora bisogno di una visione profetica che induca i popoli alla speranza, alla fraternità e alla pace attraverso il rispetto dei diritti di tutti, maggioranze e minoranze; c’è bisogno di un “Anno Santo” per tutti di cui la Chiesa non può che essere promotrice. Un soffio caldo che ridia vita ai tanti uomini, donne, bambini, anziani e giovani duramente perseguitati e discriminati e ai quali resta il deludente sogno di abbandonare la propria terra per migrare altrove. C’è bisogno di ricomporre le innumerevoli fratture di questi popoli e di questi luoghi; c’è bisogno che ebrei, cristiani, sciiti, sunniti, kurdi, yazidi, mandei e tutte le altre minoranze trovino insieme una civile convivenza nel rispetto dei diritti per tutti.
La fraternità è possibile se c’è lo Spirito di Dio, se la speranza non è uccisa e si dà vita a un tempo di grazia. E favorire tutto ciò spetta prima di tutto ai popoli e alle autorità civili e religiose della regione e poi a tutti contribuirvi.
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