· Città del Vaticano ·

Anche il presidente di Timor-Leste ad Abu Dhabi

«Il documento del Papa è ora parte della nostra nazione»

 «Il documento del Papa è ora parte della nostra nazione»  QUO-028
04 febbraio 2025

da Abu Dhabi
Joseph Tulloch

Il 4 febbraio 2019 Papa Francesco e lo sceicco Ahmad Al-Tayyeb, Grande Imam di Al-Azhar, firmarono il Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, condannando la violenza religiosa e chiedendo «la diffusione della cultura della tolleranza». Il documento venne firmato ad Abu Dhabi durante la storica visita del Pontefice negli Emirati Arabi Uniti, la prima del genere. Dalla firma del documento, gli Emirati Arabi Uniti hanno celebrato ogni anno il 4 febbraio con l’assegnazione del Premio internazionale Zayed per la fratellanza umana. L’evento riunisce i vincitori e numerosi leader politici e religiosi. Tra essi quest’anno c’è José Manuel Ramos-Horta, presidente della Repubblica democratica di Timor-Leste. Ha parlato a Vatican News del concetto di fratellanza umana, della recente visita (settembre 2024) di Papa Francesco al piccolo paese del sud-est asiatico e delle lezioni da imparare dalla sua riconciliazione con l’ex occupante Indonesia.

Signor presidente, nel 2022 Timor-Leste è diventato il primo paese al mondo ad adottare ufficialmente la dichiarazione di Abu Dhabi. Cos’è la fratellanza umana e perché è così importante?

Il semplice fatto che sia stata realizzata da Papa Francesco insieme al Grande Imam di Al-Azhar già di per sé dovrebbe suscitare interesse e curiosità. Dopo averlo letto, ho scoperto che è un documento eccezionale che racchiude in modo molto profondo ciò in cui tutti crediamo. Contiene elementi che sono nella Costituzione di Timor-Leste, nella Dichiarazione universale dei diritti umani e in tanti insegnamenti religiosi e spirituali. Ho quindi pensato che questo documento sarebbe stato di estremo valore per Timor-Leste nel proseguire il percorso che abbiamo scelto. Siamo un paese piccolo e nuovo e abbiamo superato la violenza in passato. Noi perseguiamo la riconciliazione, non la vendetta, la rabbia, la violenza, curando le ferite dell’anima e creando una società pacifica, inclusiva e tollerante. Ho dunque incontrato il presidente del Parlamento, oltre ai leader di partito, spiegando che era importante che venisse approvata una risoluzione che riconoscesse la dichiarazione di Abu Dhabi un documento nazionale. E così, anche prima di giurare da presidente, il testo era stato adottato all’unanimità. Tuttavia non deve rimanere solo un documento ma essere tradotto nelle nostre lingue e adattato al programma scolastico. Il processo è in corso.

Papa Francesco lo scorso settembre ha visitato Timor-Leste. Com’è andata?

Bene. Timor-Leste è per il 96 per cento cattolica e devota. La domenica, tutte le chiese, dalla cattedrale alle cappelle più umili, sono piene. Quindi potete immaginare: la personalità, la figura del Papa, la sua enorme autorità. Avevamo stimato che sarebbero venute circa 700.000 persone e avevamo ragione. Come presidente, ero preoccupato sulla nostra capacità di assorbire così tanta gente. Faceva molto caldo, le persone erano lì fin dal mattino presto, alcune si erano persino accampate dal giorno prima. Eppure è andato tutto incredibilmente bene. Non ci sono stati incidenti ma solo l’emozione della gente. Ero vicino a Sua Santità e osservavo il modo in cui la gente stava reagendo: emozionata, piangeva. Alcuni bambini volevano vedere il Papa e li ho portati. Io stesso ero emozionato, osservando il modo in cui la nostra gente reagiva. Che esperienza straordinaria!

Ripensandoci, qual è stato l’impatto della visita del Papa?

La visita ha consolidato la fede della gente, ha fatto sentire le persone orgogliose di essere cristiane, cattoliche, timoresi e le ha rese più attente al messaggio del Papa e della Chiesa: fratellanza umana, prendersi cura l’uno dell’altro, dei bambini, della gente comune. Mentre il Papa si preparava a partire, mi ha detto: Cuiden bien de este pueblo maravilloso. Era emozionato, il Papa era emozionato. Ciò che mi ha colpito molto è stata la sua resistenza in quei due giorni pieni di visite a Timor-Leste: sempre di buon umore, sempre sorridente.

Lei è qui ad Abu Dhabi per un Consiglio sulla fratellanza umana e per l’assegnazione del Premio Zayed. Qual è l’importanza dei due eventi?

Guardate cosa è successo a Gaza o in Ucraina, in Afghanistan, in Libia, in Myanmar, nella Repubblica Democratica del Congo in questo momento, in Sudan dove c’è la peggiore crisi umanitaria del mondo. Dobbiamo perseverare, fare del nostro meglio. Una cosa che ho condiviso con Papa Francesco è come dobbiamo investire di più nella prevenzione dei conflitti.

Pensa che ci sia una lezione per il mondo nel processo di riconciliazione tra Timor-Leste e Indonesia? Il Papa ne ha parlato durante la sua visita.

Sì. I leader sono quelli che conducono le persone alla guerra, quelli che impediscono la guerra e quelli che conducono le persone alla pace. Il nostro leader era Xanana Gusmão, un guerrigliero, un prigioniero. Ha detto di andare avanti, senza vendetta né odio, di riconciliarci prima fra timoresi e poi con l’Indonesia. Anche l’Indonesia ha mostrato capacità di governo, maturità, e ha accettato la nostra mano di amicizia. Abbiamo bisogno di leader che ci guidino verso la pace.