La diplomazia della speranza per portare
Farsi araldi di una «diplomazia della speranza» affinché «le dense nubi della guerra possano essere spazzate via da un rinnovato vento di pace». Papa Francesco affida questo mandato al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, ricevuto in udienza stamani in Vaticano per il tradizionale scambio di auguri all’inizio del nuovo anno.
Nel discorso del Pontefice, il termine diplomazia risuona per ben undici volte, a richiamare in primo luogo l’importanza di «favorire il dialogo con tutti, compresi gli interlocutori considerati più “scomodi” o che non si riterrebbero legittimati a negoziare», soprattutto ora che «la minaccia di una guerra mondiale» sembra essere «sempre più concreta». Cinque sono in particolare i tratti auspicati dal vescovo di Roma per un’azione diplomatica in grado di «disinnescare gli ordigni dell’egoismo, dell’orgoglio e della superbia umana, che sono la radice di ogni volontà belligerante che distrugge».
Il primo tratto è quello della verità, perché «laddove viene a mancare il legame fra realtà, verità e conoscenza, l’umanità non è più in grado di parlarsi e di comprendersi». Di qui, il monito del Papa contro le fake news e «i limiti e le insidie» della tecnologia e dell’intelligenza artificiale, nonché di «un cosiddetto “diritto all’aborto” che contraddice i diritti umani, in particolare il diritto alla vita». In un tempo «pieno di conflitti aperti o latenti», il Pontefice invoca in secondo luogo una diplomazia del perdono per «ritessere i rapporti lacerati dall’odio e dalla violenza, e così fasciare le piaghe dei cuori spezzati delle troppe vittime».
In tale contesto, il suo sguardo si volge alla situazione «umanitaria ignobile» di Gaza, a Paesi come «la martoriata Ucraina», Israele, la Palestina, il Sudan, il Sahel, il Corno d’Africa, il Mozambico, la Repubblica Democratica del Congo, ma anche il Myanmar, Haiti, il Venezuela, la Bolivia, la Colombia, il Nicaragua, la Siria e il Libano. Centrale inoltre la preoccupazione per i cristiani perseguitati e le limitazioni alla libertà religiosa che si riscontrano in diverse parti del mondo.
Come ultimi — ma non per importanza — tratti della diplomazia Papa Bergoglio indica la libertà e la giustizia: la prima in qualità di strumento di contrasto delle schiavitù moderne, tra cui la «più tremenda» è il traffico di essere umani; la seconda come conditio sine qua non della pace. Al riguardo, Francesco reitera l’appello all’abolizione globale della pena di morte e alla cancellazione del debito estero per i Paesi poveri, spesso causato dal «debito ecologico» del Nord del pianeta.
L’incoraggiamento finale è quindi a superare la logica dello scontro in favore della logica dell’incontro perché «il tempo che ci attende non ci trovi vagabondi disperati, ma pellegrini di speranza», impegnati a «costruire un futuro di pace».