· Città del Vaticano ·

Il saluto del decano

Il coraggio della creatività

 Il coraggio della creatività   QUO-006
09 gennaio 2025

Pubblichiamo il saluto rivolto al Pontefice all’inizio dell’udienza da Sua Eccellenza il signor Georgios F. Poulides, ambasciatore di Cipro e decano del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede.

Padre Santo,

sono profondamente onorato ed emozionato di presentarLe, in qualità di Decano del Corpo Diplomatico, i nostri più sentiti auguri di buona salute e di fruttuosa continuazione della Sua Missione Apostolica. Mi permetta di esprimere la gioia che proviamo nel vivere insieme questo consueto momento di incontro, capace di riempire i nostri cuori di speranza e di mostrare simbolicamente al mondo i rappresentanti degli Stati raccolti attorno al Santo Padre.

Santità,

portiamo ancora negli occhi la magnifica visione dell’apertura della Porta Santa nella Basilica di San Pietro il 24 dicembre scorso, che ha inaugurato il 27° Giubileo Ordinario, da Lei dedicato con profetica lungimiranza ai bisogni del nostro tempo, alla “Speranza”. L’incontro odierno si nutre dello spirito di questo Giubileo. In questi giorni ho più volte riflettuto sulla straordinaria forza religiosa e umana del messaggio che Lei ha rivolto al mondo intero.

Mi consenta, Santità, un ricordo personale: da bambino, ascoltavo i racconti sul mito del Vaso di Pandora, con Elpis, mitica personificazione della speranza, ultima risorsa dell’umanità, che dava coraggio per affrontare i mali che devastavano il mondo. Oggi, Lei non propone un mito consolatorio, ma ci parla di “una speranza che non delude”.

Grazie a Lei, Santo Padre, ho meditato sulla forza profonda e rivoluzionaria della “Speranza”, capace di generare fiducia, futuro e fratellanza anche quando intorno ogni cosa sembra falsa, persa, morta. Mi sono venute in mente le immagini delle devastazioni prodotte dalla guerra, dagli eventi climatici estremi, dalle solitudini umane. Che tristezza! Quanta pena! Eppure, quasi in un sogno, in quel buio profondo ho immaginato una fiammella accesa. Di fronte immagini di una terra inerme e distrutta, mi è passata davanti gli occhi la figura di un seme che inizia a germogliare. In corpi spezzati dalle difficoltà della vita, ho visto il cuore ricominciare a battere. Così ho intuito la grandezza della Sua scelta, Santità: tutti abbiamo sete di speranza, e in me è cresciuta la determinazione a lottare per un futuro di pace, attraverso il dialogo e la solidarietà.

La Speranza è dirompente: inarrestabile in chi ha fede, fiducia nel prossimo, unisce le generazioni, rafforza le comunità. Come sempre, Santo Padre, Lei ha colto i bisogni del nostro tempo e con semplicità ci ha offerto gli strumenti per costruire insieme l’avvenire. Avere speranza, avere fiducia nella speranza, portare i semi della speranza questo è il compito che ci ha voluto assegnare in questo Anno Santo.

Santità,

nella bolla di indizione del Giubileo, “Spes non Confundit”, ha sottolineato l’urgenza di portare segni tangibili di amore e comprensione verso chi soffre maggiormente gli squilibri del nostro sistema sociale. Solo diventando “pellegrini di speranza” per ammalati, poveri, detenuti, migranti, anziani e giovani possiamo riattivare quel circolo virtuoso che, attraverso il conforto e il riconoscimento delle angosce altrui, reintegra i più fragili nella famiglia umana.

Mi consenta di ricordare le Sue parole nel messaggio Urbi et Orbi di Natale: “la Porta è aperta, la Porta è spalancata! Non è necessario bussare alla Porta. È aperta”. Quante volte siamo rimasti bloccati e indifferenti, per orgoglio o paura, e non abbiamo colto l’occasione di riappacificarci, entrando per la Porta! Troppo spesso, presi dalla frenesia delle nostre vite, non siamo entrati ed abbiamo lasciato che le incomprensioni divenissero conflitti e che le porte aperte si accostassero o si chiudessero!

Il Suo messaggio interpella direttamente il nostro ruolo di diplomatici. Dobbiamo saper cogliere ogni occasione di apertura, anche minima. Ciò certamente richiede costanza, impegno e, come Lei ha ricordato durante il Suo viaggio in Belgio e Lussemburgo, “Pazienza”. Nel percorso di costruzione di un’Europa unita e pacificata quanta “pazienza” è stata necessaria per riallacciare i rapporti e ricostruire fiducia tra le nazioni. Quanto tempo si deve dedicare all’accoglienza ai migranti, alla costruzione di società multiculturali e multireligiose. “Speranza” e “Pazienza” devono essere le coordinate di ogni buon diplomatico, affinché i conflitti finalmente si risolvano.

Nel viaggio in Indonesia Lei ha incontrato il Grande Imam Nasaruddin Uman presso la Moschea di Istiqlal. Mi permetta di riportare le Sue affermazioni in quell’occasione: “tutti, tutti insieme, ciascuno coltivando la propria spiritualità e praticando la propria religione, possiamo camminare alla ricerca di Dio e contribuire a costruire società aperte fondate sul rispetto reciproco e sull’amore vicendevole”. Pochi sanno che la Grande Moschea e la Cattedrale di Santa Maria dell’Assunzione, a Djakarta, sono costruite una di fronte l’altra e collegate da un tunnel che tutti possono percorrere: quale miglior simbolo di convivenza e rispetto reciproco? La diplomazia deve avere il coraggio di essere creativa per rafforzare l’unità nella diversità.

A Timor Est, Papua Nuova Guinea e Singapore, Lei, Santo Padre, ha posto l’accento sulla necessità di una giusta ed equa redistribuzione delle risorse. Laddove si mitigano gli squilibri del mercato e del profitto, la società prospera e cresce l’armonia tra le diverse comunità etniche, culturali e religiose nel quadro del bene comune.

Lei, Santità, ha richiamato diverse volte la comunità internazionale ad essere accanto ai Paesi in difficoltà, perché siano società più giuste, libere ed aperte. Tra le diverse soluzioni proposte vi è anche la cancellazione del debito economico che i Paesi più poveri hanno contratto, spesso forzosamente, nei confronti dei Paesi più ricchi. Non per elemosina o pietà, ma come risarcimento etico e morale. Proponendo infatti un diverso approccio culturale Lei, Santo Padre, ha riconosciuto l’esistenza di un debito ecologico dei Paesi industrializzati verso il Sud del mondo che deve pagare doppiamente lo sfruttamento di cui è vittima.

Santità,

mi permetta di fare umilmente mio il Suo invito in occasione dell’apertura della Porta Santa presso il carcere di Rebibbia il 26 dicembre scorso “Spalancate le porte del cuore, ognuno sa come farlo, ognuno sa dove la porta è chiusa o semichiusa, ognuno sa”. La rivoluzione parte da ciascuno di noi, prima dentro di noi. Dobbiamo imparare ad amarci ed amare. Come afferma nella Sua Enciclica “Dilexit nos”, c’è la forte, stringente necessità che il mondo tra guerre e squilibri recuperi “ciò che è più importante: il cuore”.

Santo Padre, infine, La prego di accettare i nostri più fervidi auguri di buon anno e di buona salute. Tengo a ringraziarLa a nome della famiglia diplomatica che rappresento in veste di Decano, per la sua opera instancabile, fonte di speranza per tanti popoli, tante donne e uomini. (georgios f. poulides)