All’Angelus l’appello per tutti i Paesi martoriati dalla guerra e per il rispetto del diritto umanitario
In un mondo in cui si contano tante, troppe “porte chiuse”, c’è una sola chiave, un solo passepartout in grado di scardinare «le serrature della paura e del rifiuto»: è la «cultura dell’accoglienza», la cui promozione è stata auspicata da Papa Francesco ieri, solennità dell’Epifania del Signore, in occasione della messa celebrata nella basilica Vaticana.
L’opzione preferenziale per l’incontro, l’integrazione e la condivisione, ha detto il Pontefice all’omelia, è la «missione universale» indicata dalla stella. Quella seguita dai magi, la cui luce visibile a tutti, è in grado di superare «ogni barriera, portando speranza fino agli angoli più remoti e dimenticati del pianeta» e mettendo al bando «qualsiasi forma di selezione, di emarginazione e di scarto delle persone».
L’invito a riconoscere Gesù nel povero e nell’abbandonato è stato rilanciato dal vescovo di Roma anche all’Angelus recitato a mezzogiorno con i fedeli convenuti in piazza San Pietro. Durante la preghiera mariana il Papa non ha mancato di levare, ancora una volta, la propria voce in favore della pace e della riconciliazione, chiedendo ai fedeli di pregare per «tutti i Paesi in guerra».
Allo stesso modo, all’Angelus del 5 gennaio, Francesco aveva insistito sull’importanza di rispettare il diritto umanitario nei conflitti e di porre fine ai combattimenti che colpiscono i civili, le scuole, gli ospedali e i luoghi di lavoro. In entrambe le circostanze, sia ieri sia domenica, il Santo Padre ha infine ricordato Paesi martoriati dalla guerra, come l’Ucraina, la Palestina, Israele, il Libano, la Siria, il Myanmar e il Sudan.