Solennità dell’Epifania del Signore
Mettere al bando qualsiasi forma di selezione, di emarginazione e di scarto delle persone
La stella che i Magi hanno seguito e che irradia la luce dell’Amore chiama l’umanità a «mettere al bando qualsiasi forma di selezione, di emarginazione e di scarto delle persone, e a promuovere una forte cultura dell’accoglienza, in cui alle serrature della paura e del rifiuto si preferiscano gli spazi aperti dell’incontro, dell’integrazione e della condivisione», perché «Dio cerca tutti, tutti». Questo il cuore dell’omelia pronunciata da Papa Francesco ieri mattina, lunedì 6 gennaio, nella messa per la Solennità dell’Epifania, presieduta nella basilica Vaticana. Dal Pontefice anche l’invito a tutti i fedeli ad essere segni luminosi di speranza, in un tempo in cui «le persone e le nazioni sembrano diventate meno disponibili a comprendersi, accettarsi e incontrarsi nella loro diversità».
«Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo» (Mt 2, 2): questa è la testimonianza che i Magi rendono agli abitanti di Gerusalemme, annunciando loro che è nato il re dei Giudei.
I Magi testimoniano di essersi messi in cammino, dando una svolta alla loro vita, perché nel cielo hanno visto una luce nuova. Possiamo allora fermarci a riflettere su questa immagine, mentre celebriamo l’Epifania del Signore nel Giubileo della speranza; e vorrei sottolineare tre caratteristiche della stella di cui ci parla l’evangelista Matteo: è luminosa, è visibile a tutti e indica un cammino.
Anzitutto la stella è luminosa. Molti sovrani, al tempo di Gesù, si facevano chiamare “stelle”, perché si sentivano importanti, potenti e famosi. Non è stata però la loro luce — quella di nessuno di loro — a svelare ai Magi il miracolo del Natale. Il loro splendore, artificiale e freddo, frutto di calcoli e di giochi di potere, non è stato in grado di rispondere al bisogno di novità e di speranza di queste persone in ricerca. Lo ha fatto invece un altro tipo di luce, simboleggiata dalla stella, che illumina e scalda bruciando e lasciandosi consumare. La stella ci parla della sola luce che può indicare a tutti la via della salvezza e della felicità: quella dell’amore. Quella è l’unica luce che ci farà felici.
Prima di tutto l’amore di Dio, che facendosi uomo si è donato a noi sacrificando la sua vita. Poi, di riflesso, quello con cui anche noi siamo chiamati a spenderci gli uni per gli altri, divenendo, col suo aiuto, un segno reciproco di speranza, anche nelle notti oscure della vita. Possiamo pensare a questo: noi siamo luminosi nella speranza? Siamo capaci di dare speranza agli altri con la luce della nostra fede?
Come la stella, col suo brillare, ha guidato i Magi a Betlemme, così anche noi, col nostro amore, possiamo portare a Gesù le persone che incontriamo, facendo loro conoscere, nel Figlio di Dio fatto uomo, la bellezza del volto del Padre (cfr. Is 60, 2) e il suo modo di amare, fatto di vicinanza, compassione e tenerezza. Non dimentichiamo mai questo: Dio è vicino, compassionevole e tenero. Questo è l’amore: vicinanza, compassione e tenerezza. E possiamo farlo senza bisogno di strumenti straordinari e di mezzi sofisticati, ma rendendo i nostri cuori luminosi nella fede, i nostri sguardi generosi nell’accoglienza, i nostri gesti e le nostre parole, pieni di gentilezza e di umanità.
Mentre perciò guardiamo i Magi che, con gli occhi rivolti al cielo, cercano la stella, chiediamo al Signore di essere, gli uni per gli altri, luci che portano all’incontro con Lui (cfr. Mt 5, 14-16). È brutto che una persona non sia luce per gli altri.
E veniamo così alla seconda caratteristica della stella: essa è visibile a tutti. I Magi non seguono le indicazioni di un codice segreto, ma un astro che vedono splendere nel firmamento. Loro lo notano; altri, come Erode e gli scribi, non si accorgono nemmeno della sua presenza. La stella però resta sempre là, accessibile a chiunque alzi lo sguardo al cielo, in cerca di un segno di speranza. Io sono un segno di speranza per gli altri?
E questo è un messaggio importante: Dio non si rivela a circoli esclusivi o a pochi privilegiati, Dio offre la sua compagnia e la sua guida a chiunque lo cerchi con cuore sincero (cfr. Sal 145, 18). Anzi, spesso previene le nostre stesse domande, venendo a cercarci prima ancora che glielo chiediamo (cfr. Rm 10, 20; Is 65, 1). Proprio per questo, nel presepe, raffiguriamo i Magi con caratteristiche che abbracciano tutte le età e tutte le razze — un giovane, un adulto, un anziano, con i tratti somatici dei vari popoli della terra —, per ricordarci che Dio cerca tutti, sempre. Dio cerca tutti, tutti.
E quanto ci fa bene meditare su questo oggi, in un tempo dove le persone e le nazioni, pur dotate di mezzi di comunicazione sempre più potenti, sembrano diventate meno disponibili a comprendersi, accettarsi e incontrarsi nella loro diversità!
La stella, che in cielo offre a tutti la sua luce, ci ricorda che il Figlio di Dio, è venuto nel mondo per incontrare ogni uomo e donna della terra, a qualsiasi etnia, lingua e popolo appartenga (cfr. At 10, 34-35; Ap 5, 9), e che a noi affida la stessa missione universale (cfr. Is 60, 3). Ci chiama, cioè, a mettere al bando qualsiasi forma di selezione, di emarginazione e di scarto delle persone, e a promuovere, in noi e negli ambienti in cui viviamo, una forte cultura dell’accoglienza, in cui alle serrature della paura e del rifiuto si preferiscano gli spazi aperti dell’incontro, dell’integrazione e della condivisione; luoghi sicuri, dove tutti possano trovare calore e riparo.
Per questo la stella sta in cielo: non per rimanere lontana e irraggiungibile, ma al contrario perché la sua luce sia visibile a tutti, perché raggiunga ogni casa e superi ogni barriera, portando speranza fino agli angoli più remoti e dimenticati del pianeta. Sta in cielo per dire a chiunque, con la sua luce generosa, che Dio non si nega a nessuno, non dimentica nessuno (cfr. Is 49, 15). Perché? Perché è un Padre la cui gioia più grande è vedere i suoi figli che tornano a casa, uniti, da ogni parte del mondo (cfr. Is 60, 4), vederli gettare ponti, spianare sentieri, cercare chi si è perso e caricarsi sulle spalle chi fatica a camminare, perché nessuno rimanga fuori e tutti partecipino alla gioia della sua casa.
La stella ci parla del sogno di Dio: che tutta l’umanità, nella ricchezza delle sue differenze, giunga a formare una sola famiglia viva concorde nella prosperità e nella pace (cfr. Is 2, 2-5).
E questo ci porta all’ultima caratteristica della stella: quella di indicare il cammino. Anche questo è uno spunto di riflessione, specialmente nel contesto dell’Anno santo che stiamo celebrando, in cui uno dei gesti caratteristici è il pellegrinaggio.
La luce della stella ci invita a compiere un viaggio interiore che, come scriveva Giovanni Paolo ii , liberi il nostro cuore da tutto ciò che non è carità, per «incontrare pienamente il Cristo, confessando la nostra fede in Lui e ricevendo l’abbondanza della sua misericordia» (Lettera a quanti si dispongono a celebrare nella fede il grande Giubileo, 29 giugno 1999, 12).
Camminare insieme «è tipico di chi va alla ricerca del senso della vita» (cfr. Bolla Spes non confundit, 5). E noi, guardando la stella, possiamo rinnovare anche il nostro impegno ad essere donne e uomini “della Via”, come venivano definiti i cristiani alle origini della Chiesa (cfr. At 9, 2).
Ci renda così il Signore luci che indicano Lui, come Maria, generosi nel donarci, aperti nell’accoglienza e umili nel camminare insieme, perché possiamo incontrarlo, riconoscerlo e adorarlo, e ripartire da Lui rinnovati portando nel mondo la luce del suo amore.
Un dono per tutti i bambini
Piccoli doni per i tanti bambini presenti: in questo gesto di Papa Francesco, compiuto all’inizio e al termine della messa presieduta ieri mattina, lunedì 6 gennaio, nella basilica Vaticana, è racchiuso il senso della solennità dell’Epifania. È il giorno della manifestazione del Signore come Dio, attraverso l’adorazione dei magi che al Bambino di Betlemme portano in dono oro, incenso e mirra, simboli di carità, preghiera ed espiazione dei peccati.
Dopo che il Pontefice ha raggiunto la sua sede posta davanti al pilone di san Longino e ha indossato i paramenti liturgici di colore bianco, lungo la navata della basilica si è snodata la processione iniziale. Circa cinquemila i fedeli presenti all’interno del tempio e molti altri quelli che hanno seguito la celebrazione all’esterno, attraverso i maxi-schermi allestiti in piazza San Pietro.
Il celebrante principale, cardinale Luis Antonio Gokim Tagle, pro-prefetto del Dicastero per l’evangelizzazione - Sezione per la prima evangelizzazione e le nuove Chiese particolari, è salito all’altare della Confessione e lo ha incensato, non prima di aver compiuto un atto di venerazione davanti alla statuina del Bambinello posta con l’Evangelario sul tronetto e collocata davanti all’altare stesso. Accanto, la statua di santa Maria della Speranza, che si venera nell’omonimo santuario di Battipaglia, vicino Salerno, luogo in cui ora tornerà.
La liturgia della Parola è stata scandita dalla prima lettura, in inglese, tratta dal libro del profeta Isaia (60, 1-6); dal Salmo 71, “Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra”, cantato in italiano, e dalla seconda lettura in spagnolo, un passo dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini (3, 2-3a. 5-6). I versetti del Vangelo secondo Matteo (2, 1-12), proclamato in italiano dal diacono, hanno preceduto l’annuncio solenne della data della Pasqua, che quest’anno ricorre il 20 aprile.
Dalla Pasqua scaturiscono tutti i giorni santi: le Ceneri, inizio della Quaresima, il 5 marzo; l’Ascensione del Signore, il 29 maggio (in Italia si celebra il 1° giugno); la Pentecoste, l’8 giugno; la prima domenica di Avvento, il 30 novembre.
Dopo l’omelia del Pontefice e la professione di fede del «Credo», cinque lettori di altrettante nazionalità sono saliti all’ambone per la preghiera dei fedeli: sono state elevate intenzioni in polacco per il Papa e tutti i vescovi della Chiesa, perché Dio li ispiri a «compiere con amore evangelico e generosa dedizione il ministero loro affidato»; in francese per i governanti, affinché operino «per il bene comune, lontani da logiche di violenza e di potere»; in cinese per i missionari, perché «portino ovunque l’annuncio salvifico» del Vangelo; in portoghese per la famiglia, così che sia «custodita dal dialogo sincero e dal perdono reciproco»; in swahili, in favore degli «uomini di scienza», affinché il Signore «riveli il suo mistero di amore a quanti lo ricercano attraverso le vie dell’umana intelligenza, dell’arte e delle scienze».
Tre i gruppi che hanno presentato al Papa le offerte. Tra loro, anche quattro bambini e un papà e una mamma con in braccio un neonato che Francesco ha benedetto e salutato con particolare affetto, ricambiato dal piccolo con un grande sorriso e le manine protese, in un ideale abbraccio.
Con il Pontefice hanno concelebrato una quarantina di cardinali — al momento della preghiera eucaristica, al cardinale Tagle si sono uniti i porporati Giovanni Battista Re e Leonardo Sandri, rispettivamente decano e vice-decano del Collegio cardinalizio —, circa trenta presuli e duecento sacerdoti. Tra i presenti i monsignori Mirosław Stanisław Wachowski, sotto-segretario per i Rapporti con gli Stati, e Javier Domingo Fernández González, capo del Protocollo della Segreteria di Stato.
Papa Francesco ha poi baciato la statua del Bambino Gesù posta davanti all’altare, dopo che gli era stata presentata dall’arcivescovo Diego Ravelli, maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie. Il servizio dei ministranti è stato prestato dal Pontificio collegio urbano De Propaganda Fide, che è il seminario maggiore del Dicastero per l’evangelizzazione.
Il coro della Cappella Sistina, diretto dal maestro Marcos Pavan, ha intonato alcune melodie tipiche del Natale, come Adeste fideles, che ha accompagnato la processione iniziale, Astro del ciel, eseguito al momento della comunione e Tu scendi dalle stelle al termine della messa.
Successivamente, a mezzogiorno il Pontefice si è affacciato dalla finestra del suo Studio privato del Palazzo apostolico per la recita dell’Angelus con i pellegrini presenti in piazza San Pietro.
A spiccare tra la folla, nei loro costumi tradizionali, sono stati i numerosi partecipanti al corteo storico, religioso, culturale e folcloristico “Viva la befana”, ideato per riaffermare e tramandare i valori dell’Epifania. Giunta alla 38ª edizione, la manifestazione quest’anno è stata animata da una delegazione proveniente dalla città umbra di Amelia. I figuranti dei magi a cavallo, sbandieratori, bande musicali, fanfare e personaggi di presepi viventi hanno raggiunto insieme il colonnato del Bernini dopo aver percorso via della Conciliazione. Non sono mancate le risorse del territorio, dono dell’Epifania a tutte le famiglie. Il Pontefice ha indirizzato al corteo un saluto particolare, estendendolo anche ai partecipanti al grande “Corteo dei Re Magi” che dal 2008 si tiene in Polonia e in molti altri Paesi del mondo per testimoniare la fede nelle chiese e nelle strade. Secondo gli organizzatori, all’iniziativa di ieri hanno aderito circa novecento città polacche e due milioni di persone. (isabella piro)