· Città del Vaticano ·

Gli interventi di un cardinale, due vescovi e un religioso

Ambasciatori attivi
per la sinodalità

 Ambasciatori attivi per la sinodalità  QUO-240
22 ottobre 2024

«Siamo stati convocati non per risolvere problemi particolari ma per immaginare un nuovo modo di essere Chiesa. Il Sinodo non ha deviato dall’obiettivo che si era posto, ponendo una base: a partire da essa, tornando ciascuno a casa sua, così come nella Chiesa universale, dobbiamo applicare questo spirito di sinodalità a ogni problema che sorge». Il cardinale Fridolin Ambongo Besungu, arcivescovo di Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo, ha aperto così il suo intervento di oggi nel consueto briefing in Sala Stampa.

A pochi giorni dalla conclusione dell’assise sinodale, il porporato ha espresso soddisfazione: «Il nostro Paese viene considerato ancora oggi come una terra di missione, la nostra Chiesa è stata fino a poco tempo fa di missionari e deve adeguarsi alla realtà del contesto socioculturale» ha detto, dunque «la convocazione al Sinodo è stata colta come un kairós», occasione per «vedere insieme come immaginare un nuovo modo di essere Chiesa». Adesso che questa modalità è acquisita, tornando a casa — ha assicurato il presidente del Simposio delle conferenze episcopali di Africa e Madagascar — «cercheremo insieme con i fratelli e le sorelle africane di entrare in questa nuova dinamica, come essere una Chiesa cattolica diversamente».

Sul contributo africano al Sinodo, a partire dalle comunità di base e dai catechisti, ha riferito monsignor Andrew Nkea Fuanya, arcivescovo di Bamenda, in Camerun. La sinodalità è «un segno escatologico per tutti noi, che veniamo da diverse parti del mondo con idee differenti: quello che diceva Isaia si è avverato, il leone, l’orso e il vitello staranno insieme. Tutti noi possiamo tornare non solo come persone che hanno ricevuto passivamente la sinodalità, ma come ambasciatori attivi, che credo sia davvero il futuro».

In un contesto, quello africano, dove «le chiese sono piene» il problema è «come mantenerle» tali, ha sottolineato, «e lo faremo attraverso la sinodalità». Il presule ha poi evidenziato il ruolo fondamentale svolto dai catechisti, in modo particolare dalle donne, che sono circa la metà: «L’Africa è un luogo speciale per la sinodalità, è fertile», tant’è, ha concluso, che «nelle piccole comunità riusciamo a risolvere i problemi e ad avere la pace».

A proposito della situazione di post-secolarizzazione che si vive in Germania, il vescovo di Essen, monsignor Franz-Josef Overbeck, ha rimarcato l’esigenza che la Chiesa cattolica venga re-inculturata. «Dopo molti anni in cui si era o cattolici o protestanti, adesso su quasi 84 milioni di abitanti la metà è senza fede, senza religione e anche senza una idea su chi sia Dio — ha raccontato —, mentre l’altra metà è quasi equamente divisa tra cattolici e protestanti, con una presenza di oltre 4 milioni di musulmani». Anche se nuove comunità piccole stanno lavorando, emerge la necessità di «evangelizzare di nuovo» e al contempo «dare una nuova risposta sul ruolo della donna nella Chiesa».

In questo stato di post-secolarizzazione, in cui la Chiesa vive «in tensione tra struttura da una parte e una nuova spiritualità dall’altra» la sinodalità è «una scia che già stiamo vivendo da anni» ha proseguito il presule, aggiungendo che già dopo lo scandalo degli abusi in Germania è stato elaborato un approccio sinodale.

Dell’esperienza di vivere la sinodalità ad intra nella Chiesa e ad extra con gli altri ha parlato padre Clarence Sandanaraj Davedassan, direttore del Catholic Research Centre di Kuala Lumpur, in Malaysia. «A parte le Filippine e Timor Leste — ha spiegato — l’Asia è un Paese in cui i cattolici sono una minoranza. È vero, la fede è molto viva, ma questo non significa che non siano presenti secolarizzazione e altri problemi». Se, ha continuato, «lo spazio pubblico per l’espressione della fede sembra diventare sempre più piccolo in molti luoghi, anche a causa dell’estremismo politico e religioso, in tale contesto bisogna cercare l’armonia avviando un dialogo». Laddove quest’ultimo «non è una opzione», bensì «una questione di sopravvivenza. Non è una novità ma una necessità e fa parte dell’esperienza che viviamo quotidianamente all’interno di una cultura pluralista» ha riscontrato. La sinodalità si pone «a fondamento di tutto ciò» venendo vissuta ovunque, a partire dalla famiglia, e continua a portare frutti. Dunque, la sfida in Asia afferisce al modo di fare teologia «dal punto di vista della vita con gli altri» e riguarda l’evangelizzazione «laddove non si può esprimere la fede in modo pubblico».

Infine, un cenno al fenomeno della migrazione, che ha portato tanti asiatici a vivere in altre parti del mondo: «Sono i nuovi missionari, perché quando vanno via non cercano solo un guadagno ma portano con sé la loro fede, e so — ha concluso il sacerdote — che in molti luoghi del mondo animano le Chiese contribuendo a tenere viva la fede».

Come di consueto, è stato poi riservato uno spazio alle domande dei giornalisti presenti in sala. Monsignor Overbeck ha ribadito l’importanza della comprensione del ruolo delle donne nella Chiesa, in relazione al «problema della mancanza di sacerdoti e di chi si occuperà del lavoro pastorale». Un altro tema, quello dell’avvicinamento dei giovani alle celebrazioni può, nella visione del vescovo tedesco, trarre spunti dalla musica e dall’arte, e in un loro eventuale contributo alla liturgia.

Sempre sul tema del ruolo delle donne all’interno della Chiesa e su un’eventuale apertura al diaconato, il cardinale Ambongo Besungu ha affermato come le comunità ecclesiali africane non si oppongano a tale possibilità. Tuttavia, secondo il porporato, è necessario esplicitare in maniera più precisa la figura del diacono: «all’inizio era un servizio alla comunità», non avendo «niente a che vedere con il sacerdozio. Non era la sua prima tappa, quindi era aperto anche alle donne». Con il tempo, tuttavia, questa concezione è cambiata, e il diaconato oggi «è considerato come prima tappa del sacerdozio».

Interrogato sull’avanzamento dei temi che interessano la comunità Lgbtqia+, monsignor Overbeck ha notato i «molti chiarimenti in corso» attuati in un contesto di vaste diversità culturali. Un’altra domanda ha poi riguardato il pensiero del teologo Timothy Radcliffe, pubblicato su «The Tablet» ad aprile, tradotto in italiano sul numero di luglio della rivista «Vita e pensiero» e ripreso sul nostro giornale lo scorso 12 ottobre, nel quale veniva citata una «forte pressione da parte degli evangelici, con denaro americano; degli ortodossi russi, con denaro russo; e dei musulmani, con denaro dei ricchi Paesi del Golfo» alla quale sarebbero sottoposti i «vescovi africani». «Non riconosco per niente padre Radcliffe in quello che è stato scritto» ha affermato il cardinale Ambongo Besungu, riferendo di un incontro nel quale il teologo si è detto “sconvolto” della pubblicazione di «cose di questo tipo attribuite a lui. Padre Radcliffe non ha mai detto questo» ha ribadito il cardinale africano.

La questione del ruolo delle donne all’interno della Chiesa è stata oggetto di altre due domande. Monsignor Overbeck ha evidenziato come nella sua diocesi, a causa della presenza di sacerdoti che, provenendo da altri Paesi, non sanno parlare il tedesco, le donne siano incaricate di «fare le prediche», così come di guidare talvolta i «servizi religiosi con i bambini». Monsignor Fuanya ha invece esposto i casi di alcune comunità ecclesiali in Camerun, dove le «missioni, che poi costituiscono le parrocchie» non hanno a disposizione un sacerdote ogni domenica, a causa delle lunghe distanze da percorrere. In quei luoghi «la catechesi è in mano alla comunità stessa», così come la preparazione ai sacramenti, delegata ai catechisti o alle catechiste. La loro somministrazione rimane comunque, ha ribadito l’arcivescovo di Bamenda, facoltà esclusiva dei sacerdoti. Infine, in relazione all’apertura mostrata da Papa Francesco, durante il viaggio apostolico in Belgio, riguardo la possibile beatificazione del re Baldovino, è stato chiesto un parere al cardinale Ambongo Besungu, citando le accuse per le quali il sovrano belga avrebbe avuto responsabilità nell’uccisione del primo ministro congolese Lumumba il 17 gennaio 1961. «Noi restiamo aperti» è la posizione espressa dal porporato «per noi è stato un uomo politico che è stato religioso» e che ha avuto «molto coraggio. Se il dossier funziona, e lo vogliono presentare per la canonizzazione, siamo d’accordo». Tuttavia, ha aggiunto il cardinale africano, parlando di una «macchia nera», «non sappiamo tutti i risvolti della sua vita».

di Lorena Leonardi
ed Edoardo Giribaldi

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