· Città del Vaticano ·

Il 45° viaggio di Papa Francesco - Timor Leste
La messa nella spianata alle porte di Díli

Farsi piccoli davanti a Dio
e gli uni di fronte agli altri

 Farsi piccoli davanti  a Dio e gli uni di fronte agli altri   QUO-204
10 settembre 2024

La giornata di martedì 10 settembre, la seconda del Pontefice a Timor Leste, si è conclusa con la santa messa votiva della Beata Vergine Maria Regina, presieduta nella Spianata di Taci Tolu, 8 km a ovest di Díli. Papa Francesco vi è giunto in macchina dalla nunziatura apostolica intorno alle 16.00, ora locale, (le 9.00 in Italia) ed è stato accolto da circa 600.000 fedeli. Pubblichiamo, in una nostra traduzione italiana dall’originale spagnolo, il testo dell’omelia pronunciata dal Santo Padre dopo la proclamazione del Vangelo.

«Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio» (Is 9, 5).

Queste sono le parole con cui il profeta Isaia si rivolge, nella prima Lettura, agli abitanti di Gerusalemme, in un momento prospero per la città, caratterizzato però, purtroppo, anche da una grande decadenza morale.

C’è tanta ricchezza, ma il benessere acceca i potenti, li illude di bastare a sé stessi, di non aver bisogno del Signore, e la loro presunzione li porta ad essere egoisti e ingiusti. Per questo, anche se ci sono tanti beni, i poveri sono abbandonati e soffrono la fame, l’infedeltà dilaga e la pratica religiosa si riduce sempre più a pura formalità. La facciata ingannevole di un mondo a prima vista perfetto nasconde così una realtà molto più oscura, molto più dura e crudele, in cui c’è tanto bisogno di conversione, di misericordia e di guarigione.

Per questo il profeta annuncia ai suoi concittadini un orizzonte nuovo, che Dio aprirà davanti a loro: un futuro di speranza, un futuro di gioia, dove la sopraffazione e la guerra saranno bandite per sempre (cfr. Is 9, 14). Farà sorgere per loro una grande luce (cfr. v. 1) che li libererà dalle tenebre del peccato da cui sono oppressi, e lo farà non con la potenza di eserciti, di armi o ricchezze, ma attraverso il dono di un figlio (cfr. vv. 5-6).

Fermiamoci a riflettere su questa immagine: Dio fa splendere la sua luce che salva attraverso il dono di un figlio.

In ogni luogo la nascita di un figlio è un momento luminoso, un momento di gioia e di festa, e a volte suscita anche in noi desideri buoni, di rinnovarci nel bene, di ritornare alla purezza e alla semplicità. Di fronte ad un neonato, anche il cuore più duro si riscalda e si riempie di tenerezza. La fragilità di un bambino porta sempre un messaggio così forte da toccare anche gli animi più induriti, portando con sé movimenti e propositi di armonia e di serenità. È meraviglioso, fratelli e sorelle, quello che succede alla nascita di un bambino!

La vicinanza di Dio è attraverso un bambino. Dio si fa bambino. E non solo per stupirci e commuoverci, ma anche per aprirci all’amore del Padre e lasciarcene plasmare, perché possa guarire le nostre ferite, ricomporre i nostri dissensi, rimettere ordine nella nostra esistenza.

A Timor Est è bello, perché ci sono tanti bambini: siete un Paese giovane in cui in ogni angolo si sente pulsare, esplodere la vita. E questo è un regalo, un dono grande: la presenza di tanta gioventù e di tanti bambini, infatti, rinnova costantemente la nostra energia e la nostra vita. Ma ancora di più è un segno, perché fare spazio ai bambini, ai piccoli, accoglierli, prendersi cura di loro, e farci anche noi piccoli davanti a Dio e gli uni di fronte agli altri, sono proprio gli atteggiamenti che ci aprono all’azione del Signore. Facendoci bambini permettiamo l’azione di Dio in noi.

Oggi veneriamo la Madonna come Regina, cioè la madre di un Re, Gesù, che ha voluto nascere piccolo, farsi nostro fratello, chiedendo il “sì” di una giovane umile e fragile (cfr Lc 1, 38).

Maria questo lo ha capito, al punto che ha scelto di rimanere piccola per tutta la vita, di farsi sempre più piccola, servendo, pregando, scomparendo per far posto a Gesù, anche quando questo le è costato molto.

Perciò, cari fratelli, care sorelle, non abbiamo paura di farci piccoli davanti a Dio, e gli uni di fronte agli altri, non abbiamo paura di perdere la nostra vita, di donare il nostro tempo, di rivedere i nostri programmi e ridimensionare quando necessario anche i nostri progetti, non per sminuirli, ma per renderli ancora più belli attraverso il dono di noi stessi e l’accoglienza degli altri.

Tutto questo è simboleggiato molto bene da due bellissimi monili tradizionali di questa terra: il Kaibauk e il Belak. Tutti e due sono di metallo prezioso. Vuol dire che sono importanti!

Il primo simboleggia le corna del bufalo e la luce del sole, e si mette in alto, a ornamento della fronte, come pure sulla sommità delle abitazioni. Esso parla di forza, di energia e di calore, e può rappresentare la potenza di Dio, che dona la vita. Ma non solo: posto a livello del capo, infatti, e in cima alle case, ci ricorda che, con la luce della Parola del Signore e con la forza della sua grazia, anche noi possiamo cooperare con le nostre scelte e azioni al grande disegno della redenzione.

Il secondo, poi, il Belak, che si mette sul petto, è complementare al primo. Ricorda il chiarore delicato della luna, che riflette umilmente, nella notte, la luce del sole, avvolgendo ogni cosa di una fluorescenza leggera. Parla di pace, di fertilità, di dolcezza, e simboleggia la tenerezza della madre, che coi riflessi delicati del suo amore rende ciò che tocca luminoso della stessa luce che riceve da Dio.

Kaibauk e Belak, forza e tenerezza di Padre e di Madre: così il Signore manifesta la sua regalità, fatta carità e misericordia.

E allora chiediamo insieme, in questa Eucaristia, ciascuno di noi, come donne e uomini, come Chiesa, come società, di saper riflettere nel mondo la luce forte, la luce tenera del Dio dell’amore, di quel Dio che, come abbiamo pregato nel Salmo responsoriale, «solleva dalla polvere il debole, dall’immondizia rialza il povero, per farlo sedere tra i principi […]» (Sal 113, 7-8).

Al termine della celebrazione, dopo il saluto rivoltogli dal cardinale arcivescovo di Díli, il Pontefice ha improvvisato una breve riflessione in spagnolo. Eccone la traduzione.

Cari fratelli e sorelle,

ho pensato molto: qual è la cosa migliore che ha Timor? Il sandalo? La pesca? Non è questa la cosa migliore. La cosa migliore è il suo popolo. Non posso dimenticare la gente ai lati della strada, con i bambini. Quanti bambini avete! Il popolo, che la cosa migliore che ha è il sorriso dei suoi bambini. E un popolo che insegna a sorridere ai bambini è un popolo che ha un futuro.

Ma state attenti! Perché mi hanno detto che in alcune spiagge vengono i coccodrilli; i coccodrilli vengono nuotando e hanno il morso più forte di quanto possiamo tenere a bada. State attenti! State attenti a quei coccodrilli che vogliono cambiarvi la cultura, che vogliono cambiarvi la storia. Restate fedeli. E non avvicinatevi a quei coccodrilli perché mordono, e mordono molto.

Vi auguro la pace. Vi auguro di continuare ad avere molti figli: che il sorriso di questo popolo siano i suoi bambini! Prendetevi cura dei vostri bambini; ma prendetevi cura anche dei vostri anziani, che sono la memoria di questa terra.

Grazie, tante grazie per la vostra carità, per la vostra fede. Andate avanti con speranza!

E ora chiediamo al Signore di benedirci tutti, e poi canteremo un canto alla Vergine Maria.


Il saluto del cardinale arcivescovo di Díli 

Profumo di sandalo e  Vangelo


«Oggi, questo luogo di Taci Tolu è di nuovo l’epicentro di un evento storico per il popolo timorese». Lo ha sottolineato il cardinale Virgílio do Carmo da Silva, arcivescovo di Díli,  al termine della celebrazione eucaristica ricordando che se la visita del Papa san Giovanni Paolo ii aveva segnato «il passo decisivo per il nostro processo di autodeterminazione» — ha detto riferendosi alla conquista dell’indipendenza — oggi la presenza di Papa Francesco contrassegna «un passo fondamentale nel processo di costruzione del Paese, della sua identità e cultura» e simboleggia «la vicinanza di Dio ai semplici, ai poveri, agli umili e agli emarginati».

In passato, ha spiegato il porporato, esploratori e navigatori sono stati attirati dal profumo del sandalo, che però «a un certo punto della storia si è incrociato con quello del Vangelo», persistente fino a oggi grazie all’impegno continuo dei missionari. Anche se Timor Leste è «un piccolo Paese, un’isola lontana», la sua gente semplice vive l’originalità della fede in Gesù Cristo e la Chiesa, ha spiegato il cardinale, «svolge la sua missione di essere la voce e la speranza dei poveri e dei più bisognosi». Fondamentale, in tal senso, è il lavoro costante e la cooperazione con lo Stato timorese nel processo di affermazione dell’identità. 

Infine, dall’arcivescovo della capitale del Paese del Sud-est asiatico l’assicurazione di preghiere per il Santo Padre e una promessa: «Questi tre giorni rimarranno vivi nella memoria di ciascuno di noi».

Il servizio del nostro inviato Gaetano Vallini