· Città del Vaticano ·

Alle radici del cristianesimo
In Azerbaigian sulle tracce della Chiesa apostolica albana

Viaggio nell’antica
Albania caucasica

 Alle radici del cristianesimo  QUO-167
24 luglio 2024

Uno dei primi territori ad adottare la religione cristiana ancora viva oggi grazie alla comunità degli Udi


Risale al iv secolo dopo Cristo la nascita della Chiesa albana apostolica del Caucaso. Da non confondersi con l’Albania balcanica, l’antica Albania del Caucaso si estendeva dalle montagne, a nord, al fiume Aras a sud e dal mar Caspio, a est, ai confini della Georgia (allora Iberia) a ovest. Corrisponde oggi al territorio dell’Azerbaigian, dove siamo stati in un lungo viaggio di quasi tremila chilometri che ha ripercorso le tracce di questa antica Chiesa viva ancora oggi con la comunità degli Udi. L’Albania caucasica fu uno dei primi paesi al mondo ad adottare la religione cristiana diffusa dal predicatore Eliseo, discepolo dell’apostolo Taddeo. Inviato nel Caucaso per conto di san Giacomo, primo patriarca di Gerusalemme, Eliseo con le sue parole — ispirate dalla vita di Gesù così come gli era stata narrata da Taddeo — gettò i semi di quella che sarebbe diventata l’antica Chiesa apostolica albana di rito orientale del Caucaso.

Fu un lungo viaggio quello di Eliseo. Da Gerusalemme attraversò diversi paesi fino ad arrivare a Kish, nella regione di Shaki, dove fondò la prima chiesa dell’Albania caucasica, una terra dove tante lingue e tribù hanno contribuito a plasmare la sua storia secolare e a forgiare l’identità pluralistica, multietnica e multiculturale. Le fonti scritte e la cultura materiale attestano, dal i secolo in poi, l’esistenza di un grande mosaico composto da ventisei tribù, contrassegnate da un gruppo etnico dominante: gli albani. Tribù che includono i Gueles, i Legues, gli Udi (considerati i discendenti diretti degli albani), i Gargareans, i Tchilbes, i Silves, i Lupenes, i Tsodians e i Caspes. Sebbene sia riconosciuto che l’Azerbaigian ospita comunità con culture e religioni diverse, è poco noto che sia stata la culla della Chiesa albana caucasica, apostolica di rito orientale, nata nel cuore di un grande regno oggi considerato estinto, noto come Albania del Caucaso, mentre la sua Chiesa è ancora oggi una comunità vivente.

A lungo questa civiltà e questa Chiesa furono sconosciute, fino a quando nel 1937 un linguista georgiano, Ilia Abuladze, scoprì, mentre studiava un manoscritto armeno (Matenadaran MS, 7117), una serie di alfabeti insoliti. Nel 1947, durante la costruzione della grande diga nella città di Mingachevir, in Azerbaigian, furono portate alla luce nuove iscrizioni, identiche a quelle trovate nel manoscritto armeno. Pochi anni dopo, nel 1952, venne scoperto un nuovo corpus contenente un alfabeto identico ai precedenti. Successivamente, nel monastero di Santa Caterina del Monte Sinai, in Egitto, in seguito a un incendio che devastò diversi locali nel maggio 1975, emerse uno spazio riparato sotto il pavimento crollato.

Dei 1.100 manoscritti che conteneva, 140 di origine georgiana vi erano ospitati fin dal xviii secolo. Di questi, due si rivelarono decisivi: N Sina 13 e 55, codici scritti su pergamena. Risalenti al x secolo, i due manoscritti erano interamente palinsesti (supporto da cui il testo originale veniva cancellato per sostituirlo con uno nuovo) contenenti ciascuno un testo in lingua albana disposto su due colonne senza spazi tra le parole. Dopo aver confrontato la scrittura dei due palinsesti con l’alfabeto del Matenadaran MS, 7117 e le iscrizioni lapidarie trovate in Azerbaigian nel 1947 e nel 1952, le conclusioni degli studiosi tedeschi Jost Gippert e Wolfgang Schulze furono che i due manoscritti georgiani N Sina 13 e 55 erano stati ricavati da un unico manoscritto in lingua albana oggi disperso. Ma, soprattutto, i palinsesti sinaitici dimostrano una continuità fra la lingua liturgica degli albani e il moderno linguaggio degli Udi.

Sulla base di queste scoperte si può affermare che le fonti scritte medievali, che sostenevano come le prime chiese dell’Albania caucasica risalissero al i secolo, avevano ragione. A tal proposito la testimonianza scritta di Mosè di Kalankatuk ( vii secolo) nel libro Storia dell’Albania è inestimabile: «A Gerusalemme, Eliseo fu ordinato da san Giacomo, fratello di Gesù, che fu il primo patriarca di Gerusalemme. Eliseo ricevette l’Oriente come un dono. Arrivò a Guis (Kish), Azerbaijan settentrionale, fondò una chiesa e offrì un sacrificio. Questo luogo è la fonte primaria delle nostre chiese, la fonte delle antiche capitali e l’inizio di un luogo di splendore». Tuttavia fu solo a metà del iv secolo (dopo l’Editto di Milano del 313) che i re albani adottarono ufficialmente il cristianesimo e iniziarono a coniare moneta locale a Gabala, prima capitale dell’Albania caucasica. È l’inizio della seconda fase dello sviluppo dell’architettura cristiana che si estenderà dal iv al vii secolo. Il cristianesimo divenne così un fattore importante nell’unificazione dello stato multitribale albano. I luoghi di antichi culti servirono come fondamenta per la costruzione di basiliche e chiese. Nel xii secolo la Chiesa albana vive un rinascimento. Durante questo periodo vengono costruite nuove chiese, le più antiche restaurate, e creati nuovi modelli architettonici. Un esempio è il monastero di Khatiravang, eretto nel 1204 e situato nel distretto di Kalbajar, come pure il monastero di Khudavang, costruito nel 1214. Un luogo elevato, sempre nel distretto di Kalbajar, che si è sviluppato nel corso di diversi secoli. E poi il monastero di Ganjasar nel distretto di Aghdara: fondato nel 1216, una delle sue epigrafi recita «costruito per volere del patriarca albano per gli albani». Un monastero che fu il centro spirituale del principato albano che rimase indipendente fino al 1836, quando lo zar Nicola i decise di abolire la Chiesa d’Albania e di subordinarla alla Chiesa armena gregoriana.

Ma un lento oscuramento della Chiesa albana era già con la firma del trattato di Turkmenchay nel 1828 quando si decise di trasferire gli armeni provenienti dagli imperi ottomano e persiano nei territori dei khanati di Garabagh, Erivan e Nakhchivan. Iniziò allora un processo di gregorianizzazione del patrimonio dell’Albania caucasica. Tuttavia, durante una spedizione archeologica in Garabagh tra il 1918 e il 1919, il presidente dell’Accademia delle scienze dell’Armenia sovietica, l’orientalista Joseph Orbeli, studiò e descrisse più di mille epigrafi incise sulle lastre murali delle chiese e dei monasteri di Garabagh, in particolare quello di Ganjasar. Sulla base dei risultati della sua ricerca, pubblicati nel libro Iscrizioni di Ganjasar e Havotsptuk, l’archeologo armeno concluse che il patrimonio architettonico culturale era quello della Chiesa albana caucasica, parte intrinseca del patrimonio mondiale in generale e cristiano in particolare. Il viaggio in Azerbaigian è solo un inizio per farla conoscere meglio.

di Rossella Fabiani


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