· Città del Vaticano ·

A Khudavang, Ganjasar e Khatiravang

Monasteri tra le nuvole

 Monasteri tra le nuvole  QUO-167
24 luglio 2024

Nel nostro viaggio in Azerbaigian abbiamo attraversato tre grandi regioni del paese: Gabala, Shaki e Garabagh. Ognuna di esse è caratterizzata da una ricca presenza dell’antica Chiesa albana apostolica. A Nij — la nostra prima tappa dopo Baku, dove vive la comunità cristiana degli Udi, eredi diretti della comunità cristiana albana — ci sono tre chiese: quella della Santa Vergine Maria detta Bulun (parola udi che significa “grande, principale”), che è la cattedrale, Sant’Eliseo Jotari, dal nome della famiglia che vive accanto alla chiesa e che ha partecipato al suo restauro, e Sant’Eliseo Silin (parola udi che significa “nel quartiere di sotto”), ancora da restaurare e che si trova accanto al grande complesso scolastico del villaggio.

La chiesa di Sant’Eliseo Jotari venne costruita tra il 1723 e il 1726 grazie alla generosità di Engibar Chotari, un mecenate locale. Oggi nella chiesa di Jotari gli Udi fanno la loro liturgia, battezzano, celebrano le feste religiose secondo i canoni ortodossi orientali. La cattedrale della Santa Vergine Maria risale al xiii secolo ed è stata costruita accanto a un antico luogo di culto risalente al iv - v secolo dopo Cristo. Ha subito due terremoti nel 1890 e nel 2020. L’interno è molto semplice, a tre navate. Non ci sono affreschi né icone, se non quelle lasciate come ex voto. Davanti all’altare, protetto da una grande tenda rossa che è l’iconostasi, vediamo un testo che è il Padre Nostro scritto in udi: Afiri. Oggi a prendersi cura della cattedrale è Alan, mentre Sevan si occupa di Sant’Eliseo Jotari.

Da Nij andiamo a Oghuz che si trova a 30 chilometri. La direzione è da est verso ovest. A Oghuz vivono circa cento udi e dodici famiglie di ebrei. «In passato gli ebrei erano tantissimi e vivevano tutti vicini al bazar. Abbiamo diverse chiese in attesa di essere restaurate e due sinagoghe», ci dice Svetlana, a capo della comunità cristiana locale degli Udi: «In tutto siamo sedici famiglie ma prima del 1988 ce n’erano 476». Ad Oghuz visitiamo una piccola chiesa albana circondata dal suo giardino protetto da un muro. È un luogo semplice, carico di spiritualità, dove a un certo momento arriva una famiglia per accendere una candela. «Vogliamo restaurare questa chiesa e celebrare qui la liturgia. Oggi dobbiamo andare a Nij per la messa. Ad Oghuz abbiamo tante piccole chiese come questa e siamo molto orgogliosi della nostra terra», afferma Svetlana. Ci salutiamo portando con noi il suo desiderio di visitare presto i monasteri di Khudavang e di Ganjasar.

Un sole leggero ci accompagna durante il viaggio verso Kish, nella regione di Shaki. Qui visitiamo l’antica chiesa dedicata a Sant’Eliseo e considerata la madre di tutte le chiese albane del Caucaso. Sulla porta d’ingresso del cortile della chiesa, che oggi ospita un museo, incontriamo il direttore Ali Samadov: ci affida a un ricercatore, Rahim Hasanov, che lavora all’Accademia delle scienze di Shaki dove dirige la sezione di etnografia. Conosce a fondo la storia del suo paese e ci dice, tra l’altro, che ci sono moltissimi sufi Naqshibandi in Azerbaigian. Poi ricorda quando in queste terre vennero fatti arrivare dall’Iran e dalla Turchia tantissimi armeni e il timore che tale migrazione cambiasse il volto dell’intera area. «Negli Atti raccolti dalla Commissione archeografica per il Caucaso — ci informa Hasanov — risulta che nel 1821 il prete ortodosso Cicikovo scrisse una lettera ad Aleksej Ermolov, il vicerè del Caucaso per conto dello zar, dove dice che “gli Udi che sono nel villaggio di Oghuz vengono con forza gregorianizzati da parte della popolazione armena qui trasferita”». Rahim ci dà anche un altro dato: «Sul giornale “Kavkaz” nel 1852 uscì un articolo di un ricercatore russo sugli Udi». E aggiunge che «un’altra chiesa albana si trova nel vecchio bazar che, dopo il sinodo voluto da Nicola i , venne data agli armeni. Oggi questa chiesa è proprietà privata».

Ma è con i complessi monastici di Khudavang (1214, distretto di Kalbajar), di Ganjasar (1216-1238, distretto di Aghdara), di Khatiravang (1204, distretto di Kalbajar) e altri ancora che la Chiesa albana vive il suo Rinascimento. È lì che siamo diretti in questa ultima parte del nostro viaggio accompagnati dalla professoressa Sabina Hajiyeva, tra le più esperte in Azerbaigian dell’architettura albana e allieva del professor David Akhundov. Mentre saliamo sulle montagne, dai finestrini dell’auto aperti entra un forte odore di timo e veniamo circondati dalla nebbia. «Non è nebbia, sono le nuvole», dice Sabina. «A Khudavang è sepolto l’apostolo Taddeo e il monastero era considerato “il Vaticano degli albani” nel xiii secolo», ci informa all’arrivo al complesso monastico che si trova nel villaggio di Vang, nella provincia di Kalbajar. Gli scavi archeologici hanno rivelato che la fondazione del monastero risale ai secoli vi - vii . Nel xiii venne ristrutturato e arricchito di nuovi edifici grazie agli sforzi della famiglia del principe Khachin Vakhtang (Bahram), figlio di Hasan il Grande (che sembra si ritirò a vita monastica), della dinastia dei Mihranidi. La chiesa fu costruita nel 1214 dalla principessa Arzu-khatun per perpetuare la memoria di suo marito, il principe Vakhtang, e dei suoi figli. Qui furono costruiti anche un portico a forma di galleria e una piccola chiesa. A sud degli edifici di culto c’erano fabbricati abitati e agricoli. «Poi — riprende Hajiyeva — nel 1216 è stato costruito il monastero di Ganjasar ed è diventato questo il centro religioso principale. La documentazione ecclesiastica è passata allora a Ganjasar dove è stata conservata fino al 1836».

Per arrivare al monastero di Ganjasar saliamo sulla cima di una montagna. Il sito, circondato da un’alta cinta muraria, si trova vicino al villaggio di Vangli, sulla riva del fiume Khachynchay, sul fianco della montagna, da cui si gode una bellissima vista sulla zona circostante. Qui la chiesa di San Giovanni Battista venne costruita tra il 1216 e il 1238. Nell’arco di sei secoli, fino al 1836, fu il centro spirituale del principato albano indipendente e residenza dell’ultimo catholicos albano. Nel complesso monastico troviamo anche le celle dei monaci e le sale per accogliere il catholicos. (rossella fabiani)