· Città del Vaticano ·

L’intervento del cardinale Parolin al “Festival dell’Umano tutto intero”

Delirio tecnologico
e disimpegno antropologico

 Delirio tecnologico   e disimpegno antropologico  QUO-139
20 giugno 2024

Di fronte alle «crisi internazionali aggravate», «lo scenario bellico ampliato tragicamente», «la vita delle persone sempre più faticosa e frenetica», l’uomo contemporaneo rischia di rispondere paradossalmente con un «disinteresse antropologico», che significa fiducia fideistica nello sviluppo tecnologico e «crescente identificazione dell’uomo con le opere da lui prodotte». L’intervento del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, ieri mercoledì 19 giugno, alla seconda e conclusiva giornata del primo “Festival dell’Umano tutto intero” ha offerto una sollecitazione importante a non arrendersi alla «perdita dello sguardo dell’uomo su di sé e sulla propria interiorità». Il festival, promosso dal network “Ditelo sui tetti”, si è svolto presso il Pio Sodalizio dei Piceni a Roma.

Le domande antropologiche — ha osservato il cardinale Parolin — «sembrano suscitare sempre meno interesse». I motivi sono diversi a partire «dall’incalzare del progresso scientifico e dal fascino di potenza che questo ha esercitato sull’umanità», ma ci sono «anche altre ragioni, più profonde»: la questione antropologica una volta che la si affronti seriamente e radicalmente «mette in evidenza e fa venire alla luce la costitutiva fragilità dell’essere umano», il suo essere non solo “una canna” ma, come dice Pascal, “la canna più fragile di tutta la natura”.

Emerge un punto essenziale che tanto impegna il dibattito odierno: «Lo stesso sviluppo dei diritti umani soffre la mancanza di un fondamento solido, la cui carenza espone tali diritti a discipline molte volte incerte e provvisorie, se non ideologicamente orientate». D’altra parte, invece, si fotografa «l’affidamento al progresso tecnologico» che «assume le caratteristiche di una vera e propria “fede”».

Si comprende dunque quanto sia «urgente e necessaria» la riflessione sulla questione antropologica, «indicendo un Festival dell’«umano tutto intero» — riprendendo una felice espressione di san Giovanni Paolo ii », ha sottolineato il cardinale Parolin, ricordando che due anni fa c’è stato un primo incontro su questi temi organizzato dallo stesso network. In quel momento il contesto era legato alla pandemia, finita la quale «le cose non sono purtroppo migliorate». E il cardinale Parolin ha aggiunto parole che non nascondono a gravità dei rischi: «Lo scenario bellico si è ampliato tragicamente con l’esplosione del conflitto israelo-palestinese e la guerra “a pezzi”, denunciata da Papa Francesco sin dall’inizio del pontificato, è andata allargandosi e componendosi in un quadro sempre più preoccupante e corre oggi il rischio serissimo di sviluppi imprevedibili e sempre meno ipotetici.»

Il punto è che proprio per questo una riflessione sull’umano potrebbe sembrare — ha avvertito — «un mero esercizio d’accademia», distante dalle urgenze e dai problemi del vivere quotidiano, tanto dei singoli quanto dei popoli. Ma sarebbe un primo grave errore pensare la domanda sull’uomo come separata e distante dalle domande e dai bisogni. Ha ricordato come non sia un caso che la questione antropologica risuoni da secoli, scolpita sull’architrave del tempio di Delfi, nel monito «Conosci te stesso». Centralità e necessità risiedono nel fatto che essa è veicolo degli interrogativi sull’esistenza umana.

È come se in qualche modo l’uomo dagli albori dell’era industriale avesse messo da parte queste domande. Non sono mancati avvertimenti. Il cardinale Parolin ha citato tra gli altri Friedrich Schiller che già a fine Settecento evidenziava come l’essere umano, «non avendo mai nell’orecchio che il monotono rumore della ruota ch’egli gira …, invece di esprimere nella natura la sua umanità, diventa soltanto una copia della sua occupazione o della scienza cui attende». E poi il segretario di Stato ha sottolineato che sempre più l’uomo si è allontanato da Dio, sempre più si è identificato con il risultato delle proprie azioni, «perdendo una visione d’insieme di sé, capace di unificare tutti gli esseri umani, senza distinzioni di sesso, di età, di razza o di condizione sociale.» Citando la Costituzione conciliare Gaudium et Spes — «La creatura senza il Creatore svanisce» — ha parlato di «un pericoloso processo di vera e propria “disumanizzazione”».

Il cardinale Parolin ha citato anche Robert Musil per affermare che la nostra società rischia di assomigliare all’apprendista stregone della ballata di Goethe, avventuratosi in un incantesimo che non è poi in grado di padroneggiare. Dunque, l’appello a proposito di Intelligenza Artificiale: «Si pone l’esigenza di una vera e propria difesa dell’umano; un argine a quell’intelligenza che l’uomo stesso ha creato e dalla quale si trova adesso a dipendere».

Si comprende meglio il significato del «vuoto creato da questo disimpegno antropologico» da cui scaturiscono «il neo-individualismo che esalta e assolutizza il principio di autodeterminazione dell’individuo». E «uno pseudo-umanesimo che arriva, in sostanza, a teorizzare una libertà senza responsabilità e diritti senza corrispondenti doveri, fondamentalmente ispirato al modello dell’uomo-Prometeo il quale, imbrigliato dal proprio delirio di autosufficienza, finisce tuttavia con il ritrovarsi irrimediabilmente solo».

di Fausta Speranza

 

 

Il segretario di Stato conferma ai cronisti
il suo prossimo viaggio in Libano

Il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, ha confermato il suo viaggio in Libano che, come anticipato dai media locali, dovrebbe svolgersi a fine giugno. Conversando con i cronisti fuori da San Salvatore in Lauro, dove ieri a Roma ha partecipato al “Festival dell’Umano”  con il cardinale Matteo Zuppi ed esponenti del governo italiano, il porporato ha osservato come «Ogni situazione in cui c’è il pericolo che i conflitti si allarghino, si approfondiscano e incancreniscano» non possa che produrre «grande inquietudine», in riferimento al rischio di un’escalation della guerra in Medio Oriente. «La visita era prevista, non legata alla situazione politica ma avrà una dimensione diplomatica» ha aggiunto, esprimendo l’auspicio che la «settimana intensa» appena vissuta, con il Papa per la prima volta al g7 e il segretario di Stato alla Conferenza di pace in Svizzera, «lasci qualcosa», «porti frutto». 

Del viaggio in Libano il cardinale aveva parlato poco prima anche con i giornalisti a margine dell’incontro “Colloqui per la Pace”  al Senato italiano. «Da tempo — ha detto — ero stato invitato dal locale Ordine di Malta ad andare a visitare le loro opere che  sono di grande impatto sociale in una situazione di crisi totale. Quella libanese è una crisi a 360° e certamente lì si cercherà di lavorare un minimo anche per aiutare, come ha sempre fatto la diplomazia della Santa Sede, per aiutare a trovare una soluzione istituzionale».

 

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