La tregua olimpica
Il libro Giochi di pace. L’anima delle olimpiadi e delle paralimpidi — con la prefazione di Papa Francesco — sarà presentato lunedì 17 giugno, alle 17, nella sala della tribuna Monte Mario dello stadio Olimpico. Con atlete e atleti olimpici, paralimpici e rifugiati — sono 85 i contributi contenuti nel libro (Libreria editrice vaticana, pagine 192, euro 17) — condivideranno le loro testimonianze il cardinale José Tolentino de Mendonça, prefetto del Dicastero per la cultura e l’educazione; Andrea Abodi, ministro del Governo italiano per lo sport e i giovani; Marco Mezzaroma, presidente di Sport e Salute; Luca Pancalli, presidente del Comitato italiano paralimpico e Silvia Salis, vice presidente vicario del Coni. A moderare sarà Alessandro Gisotti, vice direttore editoriale dei media vaticani.
Nel momento storico particolarmente buio che stiamo vivendo, i Giochi olimpici e le Paralimpiadi di Parigi sono un’opportunità di pace. Ripensando al valore della tregua olimpica — proposta dalle Nazioni Unite — la mia speranza è che lo sport possa concretamente costruire ponti, abbattere barriere, favorire relazioni di pace. Le Nazioni Unite hanno proposto la durata della tregua olimpica: da una settimana prima dell’inizio dei Giochi di Parigi fino a una settimana dopo la chiusura delle Paralimpiadi. L’autentico spirito olimpico e paralimpico è un antidoto per non cadere nella tragedia della guerra e per riscattarsi ponendo fine alle violenze.
Sì, oggi la mia speranza è che possa essere accolto l’appello per una tregua scaturita dal comune linguaggio popolare olimpico, a tutti comprensibile, a ogni latitudine. La mia speranza è che lo sport olimpico e paralimpico — con le sue appassionanti storie umane di riscatto e di fraternità, di sacrificio e di lealtà, di spirito di gruppo e di inclusione — possa essere un originale canale diplomatico per saltare ostacoli apparentemente insormontabili.
La Carta olimpica indica il principio della centralità della persona nella sua dignità e si impegna a contribuire alla costruzione di un mondo migliore, senza guerre, educando i giovani attraverso lo sport praticato senza discriminazioni, in uno spirito di amicizia e solidarietà. È nell’anima dell’attività sportiva unire e non dividere e i cinque anelli intrecciati, simbolo e bandiera dei Giochi olimpici, stanno proprio a rappresentare lo spirito di fratellanza che deve caratterizzare la manifestazione olimpica e la competizione sportiva in generale.
Ho particolarmente apprezzato che il Comitato Olimpico Internazionale nel 2021 abbia scelto di aggiungere «Communiter», e cioè «Insieme», come quarta parola del famoso motto olimpico: «Citius, altius, fortius» («Più veloce, più in alto, più forte»), ideato dal predicatore domenicano francese Henri Didon.
Communiter! Lo sport è di tutti e per tutti: è un diritto. Lo sport è un sempre nuovo Cantico delle creature che vedo “abbracciato” dalle mie Encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti. Il vero sport — tessuto di gratuità, amateur — è una grande “staffetta” nella “maratona della vita” con il testimone che passa di mano in mano, stando attenti che nessuno resti indietro da solo. Adeguando il proprio passo al passo dell’ultimo.
Personalmente ho l’esperienza del bambino alle prese, per strada, con la “palla di stracci” — la pelota de trapo — e credo che lo sport non debba mai perdere quello stile di semplicità che mette freno alla ricerca smodata del denaro e del successo “a tutti i costi”. Con il rischio di travolgere atlete e atleti nel nome del profitto, facendo loro perdere la gioia che li ha attratti fin da piccoli.
Olimpiadi e Paralimpiadi, dunque, con lo stile «Communiter»: in questa prospettiva la parola-chiave per lo sport, oggi più che mai, è “vicinanza”. È il primo suggerimento che, come “allenatore del cuore”, propongo sempre ad Athletica Vaticana per delineare l’essenza della sua presenza di condivisione: correndo o pedalando o giocando insieme con tutti gli sportivi. Mettendo insieme talenti diversi anche per costruire una società migliore, più giusta. Quando si fa sport insieme non importa la provenienza, la lingua o la cultura o la religione di una persona. Questo è anche un insegnamento per la nostra vita e ci richiama alla fraternità tra le persone, al di là delle loro abilità fisiche, economiche o sociali.
Olimpiadi e Paralimpiadi sono anche un’opportunità per abbracciare storie di donne e di uomini che vivono esperienze umane, culturali e religiose diverse tra loro. In particolare, incoraggio l’impegno per far sì che a tutte le atlete e a tutti gli atleti sia riconosciuta la stessa dignità, indipendentemente dal medagliere e dalle classifiche agonistiche.
Penso alle atlete e agli atleti con disabilità. Sono sempre sbalordito guardando le loro prestazioni e ascoltando le loro parole. L’obiettivo del movimento paralimpico non è soltanto celebrare un grande evento, ma dimostrare quello che persone — pur fortemente ferite nella vita — riescono a raggiungere quando sono messe nelle condizioni di poterlo fare. E se vale per lo sport, tanto più deve valere per la vita. Vedere le abilità di una persona paralimpica di alto livello porta inevitabilmente a restare meravigliati. Con lo sport si può — si deve — coltivare la consapevolezza di cambiare la percezione della disabilità nella quotidianità di una famiglia, di una scuola, di un posto di lavoro.
Penso alle atlete e agli atleti rifugiati che raccontano storie di riscatto, speranza, inclusione: la nuotatrice olimpionica siriana che spinge il gommone in mare aperto fino all’isola di Lesbo — dove sono stato personalmente due volte, nel 2016 e nel 2021, a visitare il campo profughi — mettendo in salvo 18 persone e il nuotatore afghano nato senza braccia che diventa campione paralimpico. Non sono “solo” donne e uomini di sport. Sono donne e uomini di pace, protagonisti di una tenace speranza e della capacità di rialzarsi dopo un “momento no”.
Olimpiadi e Paralimpiadi sono opportunità di pace: riprendo l’idea che ho proposto all’inizio della mia riflessione e che ne costituisce il filo-conduttore. Il Papa personalmente e la Santa Sede incoraggiano e sostengono il movimento olimpico e paralimpico. È così fin dal mio predecessore san Pio x che ricevette Pierre de Coubertin e diede vita in Vaticano, tra il 1905 e il 1913, a manifestazioni sportive internazionali con la partecipazione di giovani con disabilità, amputati e non vedenti.
È lo stesso stile che il Dicastero per la Cultura e l’Educazione, al quale nella Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium ho affidato la cura dello sport, e Athletica Vaticana stanno mettendo in campo anche nei contesti internazionali proponendo una visione sportiva fraterna, inclusiva e solidale. Un’esperienza di “vicinanza” che può dare un contributo vivacemente amateur per tenere accesa e alimentare, con atlete e atleti di tutto il mondo, la fiamma dell’anima olimpica e paralimpica nelle prossime edizioni.
Francesco
Nel volume una «staffetta» con 85 protagonisti
Jannik Sinner e Nadia Comăneci, Sofia Goggia e Federica Pellegrini, Valentina Vezzali e Federica Brignone, Novella Calligaris e Jury Chechi, Arianna Fontana e Marcell Jacobs, Antonella Palmisano e Carolina Kostner, Filippo Tortu ed Elia Viviani, Tommie Smith e Damiano Tommasi, Francesco Moser e Martina Caironi, Nino Benvenuti e Paolo Bettini fino ai portabandiera italiani olimpici e paralimpici ai Giochi di Parigi — Ambra Sabatini, Arianna Errigo, Luca Mazzone e Gianmarco Tamberi — e a un testo di Alex Zanardi.
A sostenere Papa Francesco nella proposta — contenuta nella prefazione del libro Giochi di pace. L’anima delle Olimpiadi e delle Paraliampiadi — di riconoscere nelle Olimpiadi e nelle Paralimpiadi un percorso di pace ci sono nel volume 85 “compagni di strada”: il cardinale de Mendonça e le massime autorità sportive, atlete e atleti che hanno vissuto e vivranno l’esperienza olimpica e paralimpica.
Particolarmente significative le testimonianze di dolore e di dignità di 10 atlete e atleti del Team olimpico e paralimpico dei rifugiati, reso possibile dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Anche i rappresentanti della straordinaria realtà degli atleti con disabilità raccontano la speranza di una società più giusta, fraterna e inclusiva attraverso lo sport.
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