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Ottant’anni dopo: le Fosse Ardeatine e il Vaticano, tra storia e memoria

L’eccidio di marzo

 L’eccidio di marzo  QUO-068
23 marzo 2024

«Stampa americana pubblica che circa 300 Italiani, tra cui Vittorio Orlando, Mario Badoglio, figlio del Maresciallo, e Thaon de Revel, sono stati fucilati nel Colosseo, Roma, giovedì 23 mese corrente, aggiungendo che Santa Sede avrebbe protestato». Questo dispaccio con notizie ancora inesatte e frammentarie fu inviato al Vaticano il 28 marzo 1944 dal Delegato apostolico a Washington, mons. Amleto Giovanni Cicognani. Esso, tuttavia, dà un’idea piuttosto chiara su una tragedia che ancora dai contorni oscuri: l’eccidio delle Fosse Ardeatine.

L’efferato delitto fu perpetrato dai tedeschi occupanti di Roma come vendetta per un’azione condotta il 23 marzo in via Rasella dai partigiani dei Gruppi di Azione Patriottica (GAP), che fecero esplodere un ordigno celato in un carretto al passaggio della compagnia tedesca Bozen, provocando la morte di trentatré soldati.

La rappresaglia germanica fu condotta rastrellando nel carcere di Regina Coeli e nella prigione di via Tasso dieci italiani per ogni tedesco morto a via Rasella. Le ventiquattr’ore intercorse fra l’attentato e l’eccidio delle Fosse Ardeatine furono drammatiche. Alla Segreteria di Stato vaticana era giunta una notizia, annotata da un minutante alle ore 10,15 del 24 marzo 1944. Si riportava quanto segue: «L’Ing. Ferrero, del Governatorato di Roma, dà i seguenti particolari circa l’incidente di ieri: il numero delle vittime tedesche è di 26 militari; tra i civili italiani si lamentano tre o quattro morti; non è facile ricostruire la scena dato che tutti si sono dati alla fuga; alcuni appartamenti sono stati saccheggiati e la polizia tedesca ha preso l’assoluto controllo della zona senza permettere ingerenza di altre autorità; sembra ad ogni modo che una colonna di automezzi tedeschi attraversando via Rasella abbia la responsabilità di aver provocato gli italiani che poi avrebbero lanciato delle bombe dall'edificio di fianco al Palazzo Tittoni; finora sono sconosciute le contromisure: si prevede però che per ogni tedesco ucciso saranno passati per le armi dieci italiani. L’ Ing. Ferrero spera di dare più tardi maggiori particolari».

Per le trentatré vittime tedesche i nazifascisti stavano infatti già attuando il piano di vendicarle con la vita di 335 inermi ostaggi, fra cui 75 ebrei romani. Quel 24 marzo, tutti furono passati per le armi in cave di pozzolana sulla via Ardeatina. Conobbe il martirio anche don Pietro Pappagallo, prete pugliese antifascista collegato alla resistenza romana. Il cardinale Nasalli Rocca ha narrato che don Pappagallo si rifiutò di esser cancellato dalla lista dei prigionieri. Altri narrano che egli impartì a tutti i condannati una solenne benedizione. L’eccidio fu condotto in gran segreto e l’annuncio della compiuta vendetta giunse dalla stampa di regime solo il giorno dopo la sua perpetrazione.

Alcuni si sono chiesti quale ruolo abbia avuto il Vaticano, e soprattutto se Pio XII sapesse in anticipo dei preparativi della criminosa operazione germanica. Robert Katz, nel suo Morte a Roma (il massacro delle Fosse Ardeatine), uscito in Italia nel 1968, com’è noto ha criticato il Vaticano e Papa Pacelli, accusato addirittura di «doppiogiochismo» e di un un filo-germanesimo ispirato dalla paura del comunismo. «Mai un Santo Padre — scrive Katz — era stato considerato così da poco da un potere laico in Roma [ossia dai tedeschi, nda]. Ma la Chiesa non avrebbe accusato l’offesa. I suoi scopi a lungo termine non potevano essere sacrificati alla polemica contingente». La documentazione disponibile agli studiosi non conforta tuttavia la tesi sostenuta da Katz. Non ci sono prove, anche per le ragioni che esporremo, del “silenzio di Pio xii ” di fronte a un efferato progetto di cui non sapeva in anticipo.

Dal libro di Katz fu tratto il film Rappresaglia di George Pan Cosmatos (con soggetto e sceneggiatura firmati anche da Robert Katz). Il film, uscito nel 1973, provocò l’anno dopo una complessa vertenza giudiziaria tra Robert Katz e la nobildonna Elena Rossignani, nipote di Pio XII . Ad avviso della nobildonna, che aveva convenuto Katz in giudizio, in una sequenza del film si lasciava intendere che Pio xii fosse perfettamente al corrente dell’intenzione dei nazisti di commettere l’eccidio, e che non fece nulla per fermarlo. A testimoniare in favore di Pio xii , il 12 novembre 1974 intervenne Max Gaston, ex confinato antifascista, poi “agente speciale” americano a Roma, arrestato più volte dai nazifascisti nel 1943-44. «L’udienza del 12 scorso è andata molto bene ed è stata moltissimo vivace», scriveva la Rossignani alla sua amica Elena Hoehn. E infatti alla fine Katz non riuscì a dimostrare la sua tesi accusatoria e in primo grado perse la causa.

La vicenda ebbe interessanti sviluppi in un successivo libro di Katz uscito nel 2003, e intitolato Roma città aperta. L’Autore vi inserì l’appendice Pacelli contro Katz et al., in cui narrava la vicenda dei vari gradi di giudizio della causa. Fu in certo senso un boomerang, dato che neppure stavolta Katz riuscì a dimostrare le sue tesi. La Corte di Cassazione aveva infatti già stabilito in via definitiva che Katz aveva adottato nel suo libro Morte a Roma criteri del tutto lontani dal «buon costume storiografico», ricordando altresì «le profonde alterazioni della verità» contenute nel libro, che voleva un Pio xii indifferente alla sorte delle vittime di una rappresaglia di cui avrebbe saputo in anticipo.

Documentati sono invece gli interventi della Santa Sede e di Pio XII per più d’una trentina dei martiri delle Fosse Ardeatine. Fra loro c’erano i carabinieri che avevano tratto in arresto Mussolini dopo il suo ultimo colloquio con il Re, il 25 luglio 1943. Per questi ufficiali (il tenente colonnello Giovanni Frignani, il capitano Raffaele Aversa e il maggiore Ugo De Carolis, tutti del fronte clandestino di resistenza dei Carabinieri), arrestati dalle ss all’inizio del 1944 e portati in via Tasso, e per altri casi il Vaticano intervenne più volte. Lo attesta una nota di Giovanni Battista Montini (futuro Paolo VI ) del 7 marzo 1944 (n. 75619/S) in risposta a una supplica della già menzionata Elena Hoehn, nella cui residenza quegli ufficiali da tempo ricercati erano stati scoperti e arrestati.

Questo e altri appelli e interventi papali (anche tramite segrete “navette” tra Vaticano e via Tasso compiute dal Generale dei Salvatoriani, P. Pancrazio Pfeiffer) rimasero senza esito. Frignani, Aversa e De Carolis, come tanti altri (fra questi il comandante del fronte militare clandestino, Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo), avrebbero trovato il martirio alle Fosse Ardeatine.

È stato giustamente osservato che i martiri rappresentavano uno spaccato della società italiana, sia per collocazione sociale sia età. Il più anziano fra le vittime era sulla settantina, il più giovane appena adolescente. Va poi ricordato che lo zelo collaborazionista di alcuni italiani fornì un “sovrannumero” di vittime, sei più di quanto prescritto dalle infami regole della rappresaglia nazista.

Alcuni criminali rei dell’eccidio del 24 marzo cercarono di sfuggire alle loro responsabilità. Il capitano delle ss Eric Priebke, per esempio, dopo varie traversie si sarebbe tramutato nell’affabile negoziante del Vienna Delikatessen, i cui salumi e formaggi erano i migliori di tutta San Carlos de Bariloche, la città argentina dove Priebke senza neppure cambiar nome si era rifatto una vita, entrando nella buona società locale e persino distinguendosi come provetto ballerino di valzer e polka.

Per lui e per altri criminali di guerra, la giustizia avrebbe comunque lentamente e inesorabilmente fatto il suo corso.

di Matteo Luigi Napolitano


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