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In un video altre tre israeliane detenute da Hamas chiedono di essere rilasciate

A Gaza un ostaggio liberato

TOPSHOT - A girl looks on as she stands by the rubble outside a building that was hit by Israeli ...
31 ottobre 2023

Tel Aviv , 31. Un susseguirsi di notizie sulla sorte degli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas, il dramma, il dolore, lo choc. Poi fonti ufficiali rivelano che in un’operazione dell’esercito e dello Shin Bet, il servizio di sicurezza interno di Israele, è stata liberata la soldatessa Ori Magidish, una dei 240 ostaggi, rapita da Hamas nel kibbutz di Nahal Oz, dov’era di vedetta. Queste le ultime ore vissute in Israele proprio mentre da un nascondiglio sconosciuto nella Striscia, arrivava la rabbia di una delle tre donne israeliane ostaggio dell’organizzazione terroristica, di cui i miliziani hanno diffuso ieri un video. Immagini che hanno scioccato il Paese e il mondo.

«Stiamo pagando il tuo fallimento. Liberateci, liberate tutti adesso», ha detto la donna rivolgendosi al primo ministro Benyamin Netanyahu, seduta su una sedia di plastica, accanto alle altre due con cui, forse, condivide da giorni la prigionia. Una «crudele propaganda psicologica da parte di Hamas», ha detto lo stesso Netanyahu, escludendo un cessate-il-fuoco, come chiesto invece dalle prigioniere dei miliziani. «C’è un tempo per la pace e un tempo per la guerra. Ora è tempo di guerra», ha aggiunto il primo ministro in conferenza stampa, respingendo qualsiasi ipotesi di dimissioni.

Nel pomeriggio era stato identificato il cadavere di Shani Louk, la ragazza tedesco-israeliana divenuta simbolo del massacro del rave compiuto da Hamas lo scorso 7 ottobre: in immagini circolate sui social e riprese dai media subito dopo l’attacco, il suo corpo, apparentemente privo di sensi, era stato caricato nel retro di un pickup e mostrato dai militanti di Hamas per le strade di Gaza. A confermarne la morte era stato il presidente israeliano, Isaac Herzog, parlando del tragico ritrovamento del cranio della giovane. Era stata la polizia a procedere all’identificazione della ventiduenne assieme a quella di oltre 800 civili e più di 300 soldati uccisi.

L’annuncio di Tel Aviv è arrivato mentre l’esercito israeliano, dalla testa di ponte nel nord della Striscia, è avanzato con truppe e tank fino alla periferia di Gaza City. Una progressione di uomini e mezzi che si sono spinti, secondo fonti locali, fino alla parte orientale del rione Sajaya e che hanno colpito, prima di ripiegare, Sallah-a-din, l’arteria principale che taglia l’intera Striscia. Nella notte sono proseguiti pure i raid, per i quali fonti palestinesi parlano di 55 morti, che si aggiungono alle oltre 8.500 vittime già denunciate, tra cui più di 3.500 bambini.

Una «catastrofe». Non ha utilizzato altri termini la direttrice esecutiva dell’Unicef, Catherine Russell, nel descrivere al Consiglio di sicurezza dell’Onu la situazione umanitaria a Gaza, dove l’acqua «pulita» si sta rapidamente esaurendo per oltre due milioni di palestinesi, mancano servizi igienico-sanitari «sicuri» e a pagare il prezzo più alto sono i minori. Ogni 10 minuti a Gaza viene ucciso un bambino, ha fatto sapere Save the Children, secondo cui un terzo dei 20.000 civili feriti è composto da minori: in un’intervista con la Bbc, il direttore per la Palestina, Jason Lee, ha testimoniato come i chirurghi eseguano interventi senza anestesia, utilizzando i telefoni cellulari come torce elettriche. La Mezzaluna Rossa palestinese ha inoltre lanciato l’allarme per nuovi attacchi israeliani vicino ospedali della Striscia di Gaza, dove i civili si sono rifugiati per proteggersi dai bombardamenti. Registrati «continui attacchi di artiglieria e aerei nella zona di Tel al-Hawa a Gaza, dove si trova l’ospedale al-Quds», ha dichiarato l’organizzazione sui social, dopo che il direttore della struttura nelle scorse ore aveva riferito di aver ricevuto l’ordine dall’esercito israeliano di evacuare l’edificio. «Impossibile evacuare ospedali pieni di pazienti senza mettere in pericolo la loro vita», aveva replicato l’Oms, ricordando come la Mezzaluna Rossa abbia stimato almeno 14.000 persone lì rifugiate.

Nella Striscia la situazione rimane dunque al collasso e gli aiuti umanitari che riescono a filtrare con il contagocce non bastano. Ieri sono entrati 40 camion dal valico di Rafah, ma da Washington la Casa Bianca ha ribadito che l’obiettivo è farne transitare almeno cento al giorno.

Non diminuisce la tensione nemmeno in Libano. L’esercito israeliano ha dichiarato di aver effettuato attacchi aerei contro postazioni ed equipaggiamenti di Hezbollah nel sud del Paese dei cedri: secondo le Israel defense forces (Idf), le operazioni sarebbero scattate dopo un nuovo lancio di razzi e missili anticarro.


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