· Città del Vaticano ·

I grandi negoziati della storia
Diplomazia e conflitti

Quella sottile arte del dialogo tra avversari

 Quella sottile arte del dialogo  tra avversari  QUO-243
21 ottobre 2023

Uno dei compiti dell’azione diplomatica è la risoluzione dei conflitti, in altri termini il conseguimento della pace. A questo punto ci si può interrogare se nel corso della storia, in particolare nel xx secolo (un periodo segnato da due guerre mondiali, uno scontro globale fra est e ovest, uno spesso drammatico processo di decolonizzazione, aspre rivalità inter-etniche), tale esercizio sia stato costantemente applicato e soprattutto se sia stato in grado di garantire la pace.

In primo luogo, va compiuta una differenza fra guerre di natura globale, crisi regionali e conflitti locali. Secondariamente va sottolineato che la diplomazia è uno strumento, un metodo, le decisioni vengono prese prevalentemente dalle leadership politiche, ma alle loro spalle si situano d’abitudine decine di diplomatici ed esperti di vario tipo che contribuiscono in maniera determinante alla realizzazione del processo decisionale.

Infine, l’azione diplomatica richiede spesso la riservatezza per evitare che le passioni delle opinioni pubbliche e i condizionamenti dei media ne possano mettere in discussione l’efficacia.

Prendendo in considerazione i due conflitti mondiali, di solito si sostiene che i trattati di pace che fecero seguito alla grande guerra, elaborati nell’ambito di quella che fu definita la conferenza di Versailles, non fecero che inasprire i sentimenti dei vinti senza al contempo mettere al riparo i vincitori dalle reazioni dei primi, in altri termini si pensa che gli anni tra il 1919 e il 1939 non furono altro che una lunga «tregua». È probabile che vi sia una parte di verità in questa interpretazione, ma essa non tiene conto degli importanti tentativi di riavvicinamento fra la Francia e la Germania della seconda metà degli anni ’20, dell’importante e innovativo esperimento di creare un organismo internazionale, la Società delle Nazioni, il cui primo obiettivo era appunto il mantenimento della pace e la composizione dei conflitti per via diplomatica.

Anche in questo caso la storiografia più recente ha in parte rivalutato il ruolo della Società delle Nazioni, ad esempio nei suoi tentativi di risolvere i problemi economici delle nazioni dell’Europa centro-orientale nate dalla disgregazione dell’impero asburgico, negli sforzi affinché si tenesse conto dei diritti delle minoranze, nella gestione dei mandati. Fu in ampia misura la «grande crisi» del 1929 a segnare una drammatica rottura nelle relazioni internazionali e a favorire le dinamiche che avrebbero condotto allo scatenamento di un nuovo conflitto mondiale.

Quanto alla seconda guerra mondiale, è noto che la cosiddetta «divisione del mondo» che sarebbe avvenuta a Jalta è un mito, perché in questa occasione gli unici temi riguardanti il dopoguerra furono i confini della Polonia e l’occupazione della Germania. Non fu d’altronde possibile redigere un trattato di pace con la Germania e nel 1947 furono conclusi solo i trattati con l’Italia, l’Ungheria, la Bulgaria, la Romania e la Finlandia.

Affrontando il caso italiano, se il trattato di pace fu considerato sia dalla classe politica, sia dall’opinione pubblica una sorta di diktat e ben poco poté fare l’intensa azione diplomatica dell’Italia, l’accettazione di questo documento, come comprese l’allora presidente del Consiglio De Gasperi, fu la condizione fondamentale perché il Paese potesse rientrare sullo scenario internazionale come attore autonomo. Proprio la diplomazia fu lo strumento che, seppur nel tempo, fu in grado di dare una soluzione definitiva al contenzioso italo-jugoslavo su Trieste e sul confine orientale grazie al memorandum d’intesa del 1954, successivamente con il trattato italo-jugoslavo di Osimo del 1975.

Sempre la diplomazia e l’azione politica furono centrali nei compromessi che chiusero la questione del Sud Tirolo, dagli accordi De Gasperi-Gruber del 1946 al cosiddetto «pacchetto sull’Alto Adige» della fine degli anni ’60.

In un contesto più ampio non può essere trascurato come con la fine del conflitto venisse creato un nuovo organismo internazionale, l’Onu, con il compito precipuo di favorire il dialogo e la composizione dei conflitti.

La guerra fredda fu segnata da crisi regionali, conflitti locali e momenti di grave tensione fra le due superpotenze. Soprattutto in quest’ultimo caso la diplomazia e la sostanziale volontà di evitare una conflagrazione nucleare giocarono una parte fondamentale nel preservare la pace a dispetto della costante contrapposizione fra i due blocchi. Significativa in tal senso fu la crisi dei missili di Cuba, uno dei momenti di maggiore scontro fra est e ovest, risolto grazie ai contatti riservati fra Washington e Mosca che si tradussero, da un lato nello smantellamento delle basi missilistiche sovietiche, dall’altro nella promessa che l’isola caraibica non avrebbe subito un’invasione da parte americana. Al di là di questa intesa, va sottolineato che essa aprì la strada alla creazione di un contatto diretto fra la Casa Bianca e il Cremlino — il cosiddetto «telefono rosso» — e al primo accordo sulla limitazione degli esperimenti nucleari nell’atmosfera. Numerosi sono gli esempi di come la diplomazia abbia consentito di attenuare lo scontro fra le due superpotenze, in particolare nel periodo della «grande distensione», basti ricordare il trattato di Mosca del 1972 sulla limitazione degli armamenti strategici, opera in ampia misura dell’allora consigliere per la sicurezza nazionale Henry Kissinger. Sempre quest’ultimo fu all’origine del disgelo nelle relazioni fra gli Stati Uniti e la Repubblica Popolare Cinese.

Questo caso dimostra inoltre come il dialogo fra avversari possa passare a volte attraverso episodi in apparenza minori quali l’invito cinese affinché la squadra di ping-pong americana si recasse a Pechino per incontrare la nazionale cinese, prima visita di cittadini statunitensi nella Repubblica Popolare Cinese dalla sua nascita nel 1949. L’episodio avrebbe aperto la strada all’incontro segreto di Kissinger con Mao del 1971 e nel 1972 alla visita ufficiale di Nixon in Cina. Non è inoltre possibile trascurare i vertici fra Gorbaciov e Reagan degli anni ‘80, che avrebbero condotto alla soluzione del contrasto sul problema degli euromissili e al trattato sugli armamenti nucleari intermedi, uno dei passi decisivi verso la fine della guerra fredda. Lo stesso negoziato 2+4 che condusse alla riunificazione tedesca può essere considerato come l’atto che poneva fine alle vicende della seconda guerra mondiale, in particolare alla sconfitta della Germania. Con la fine della guerra fredda vi è stata una breve fase ottimistica fondata sul progetto di un «nuovo ordine internazionale», nel cui ambito venne rivalutato il ruolo dell’Onu, che avrebbe potuto persino «costruire» la pace, non solo attraverso la diplomazia, ma anche grazie al «diritto di intervento umanitario». Gli anni successivi all’11 settembre 2001 hanno al contrario visto l’affermarsi di un sistema internazionale multipolare, spesso con forti elementi di conflittualità e con l’emergere di nuovi fenomeni di terrorismo e di guerre asimmetriche.

In tale quadro la diplomazia sembra a volte incapace di farsi strada e le soluzioni individuate appaiono in molti casi delle semplici tregue, che non sono in grado di risolvere le cause di scontro. Ciò conferma come la diplomazia sia soprattutto uno strumento, certamente utile, anzi fondamentale, che presuppone però una reale volontà di dialogo — e di compromesso — fra le parti in causa e la convinzione che la pace è l’obiettivo da raggiungere.

di Antonio Varsori
Università di Padova


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