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Tolkien filologo secondo Saverio Simonelli

Un violinista mancato

 Un violinista  mancato   QUO-197
29 agosto 2023

«Sono stati sforzi sprecati — scrive Tolkien al gesuita Robert Murray — che mi hanno lasciato un timore quasi reverenziale quando mi trovo in presenza di violinisti». Paradossalmente, nota Saverio Simonelli nel saggio Un uomo di parola. I mondi fantastici di Tolkien (Milano, Ancora Editrice, 2023, pagine 144, euro 15) il futuro scrittore non riesce ad affrontare seriamente lo studio di uno strumento “fisico”, a corda o a fiato, perché sa già da dove far scaturire la sua musica.

Non da un pentagramma, ma modulando il suono delle parole, e inventandone di nuove. Il suo spartito sono le storie che legge, e che scriverà.

Come molti bambini — nota Simonelli, giornalista e saggista (nonchè autore del romanzo "Cercando Beethoven") che non ha dimenticato la sua passione per la Filologia germanica — si divertiva a inventare parole immaginarie, e un lessico personale da condividere con i coetanei; è il caso dell’Animalic che John Ronald imparò dalle cugine divertendosi a manipolare i nomi di bestie reali. O del Nevbosh, alla cui creazione contribuì lui stesso, una sorta di esperanto formato da parti di inglese, francese e latino. A questo codice ancora più o meno segreto seguì il Naffarin, in cui riversò anche elementari nozioni di spagnolo. Il piccolo John era affascinato dalla fonetica dei linguaggi, dalle loro misteriose radici, dall’intreccio “magico” di significante e significato, dalle loro infinite possibilità di canto, di rima e di narrazione. Un aspetto della sua vita e della sua opera che si può agevolmente ricostruire leggendo il testo di una conferenza preparata ma mai pronunciata pubblicamente, come spiega Simonelli, in seguito raccolta dal figlio Christopher col significativo titolo di A Secret Vice, un vizio segreto.

L’autore del Silmarillion ricorda l’estasi che da bambino suscitava in lui il passaggio di camion provenienti dal Galles con quelle scritte piene di suoni misteriosi. Quando poi rievoca la scoperta del finlandese attraverso la lettura del poema Kalevala, Tolkien dice espressamente di aver avuto la stessa impressione di chi scopre una cantina piena di preziose bottiglie di vino.

Il gotico addirittura suscita “una tempesta” nel suo cuore; gallese e finlandese saranno alla base dei linguaggi dei suoi Elfi, il Quenya e il Sindarin, «sviluppati nel corso degli anni con una sofisticata e ramificata costruzione linguistica — chiosa Simonelli — indipendente dalle lingue “reali” ma coerente con una propria logica evolutiva. Qualcosa che vive esattamente come i suoi personaggi, che li useranno anche per comporre quei versi che suonano maliosi e antichi nel Signore degli Anelli».

La carriera accademica del professor Tolkien, dall’esperienza di lessicografo per l’Oxford English Dictionary fino agli studi sugli antichi poemi anglosassoni, nascerà proprio dal fuoco di questa passione. Che darà corpo e vita anche ad opere come la saga della Terra di Mezzo, a saggi come Sulle fiabe, allo splendido racconto Foglia di Niggle. Scrivere, per Tolkien, è un modo per modulare il suo canto — e la sua preghiera — sulla soglia del Mistero. Destino comune, chiosa Simonelli, agli uomini dotati di un patrimonio quasi debordante di immaginazione. Come William Butler Yeats che, secondo le parole di Séamus Heaney, era «sempre lì a battere appassionatamente contro il muro del mondo fisico per suscitare una risposta dall’altra parte».

di Silvia Guidi


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