· Città del Vaticano ·

Sorelle tutte

04 ottobre 2021

Ho accolto come “dono” la richiesta di scrivere qualche riflessione sul tema “sorelle tutte” in questo primo anniversario dell’enciclica Fratelli tutti. Vivo da sessant’anni in un monastero di clarisse, chiamate “sorelle povere”, e ho sperimentato come sia vero che per essere sorelle è necessario divenire povere, povere proprio perché sorelle che non hanno “nulla di proprio” come dice la nostra Regola di santa Chiara.

Sorelle tutte, povere in quanto al potere, all’avere, ai diritti e per questo capaci di scoprire la grande dignità dell’uomo “fatto di terra”, fragile, ma capace, nella sua debolezza di custodire il germe della vita divina che ci rende tutti fratelli in quanto figli del Padre di tutti. Certamente nel femminile c’è una specificità nell’essere sorelle, in quanto il femminile è di per sé apertura alla vita e al Mistero.

Nei nostri monasteri sperimentiamo una sorprendente capacità di prenderci cura le une delle altre, capacità che ritengo nasca dalla consapevolezza che la donna ha della propria fragilità, una fragilità che potrebbe sembrare uno svantaggio e che, invece, in realtà è la sua forza. È proprio questa consapevolezza, insita nel nostro essere creaturale, che ci fa capaci di vedere negli occhi del fratello il bisogno che egli ha di vivere e di scoprire insieme a lui che abbiamo sempre in noi una forza nuova per risorgere. La fragilità, la piccolezza, la debolezza sono strade evangeliche che portano a vivere con radicalità l’essere sorelle tutte.

Papa Francesco, il 27 marzo 2020 in piazza San Pietro, in questo tempo di pandemia diceva: «Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme». La diversità tra uomini e donne, tra fratelli e sorelle è un elemento essenziale che fa crescere la dimensione della fraternità, una crescita armonica anche sul piano sociale, politico e anche all’interno della Chiesa. Importante divenire veramente sorelle di fratelli e fratelli di sorelle. Questa armonia potrebbe costruire un mondo nuovo. È un sogno? Forse. Ma quando non si è più capaci di sognare è segno che si sono persi gli occhi del bambino che è in noi e siamo così alla fine della vita sulla terra.

Fratres, parola cara a Francesco d’Assisi, parola che tutti ci unisce in un’interconnessione capace di comunicare-trasmettere il bene, ma anche il male nella vita dei fratelli; niente è isolato e separato, «la creazione stessa geme» con tutta l’umanità. Siamo tutti figli dello stesso Padre che è anche Madre, tutti, buoni e cattivi, giusti e ingiusti, siamo una realtà sola tra le braccia del Padre e da Lui impariamo ad amare, impariamo l’arte più bella e difficile dell’amore. Solo nella condivisione e nella solidarietà, il cammino della nostra storia travagliata può aprirsi alla speranza. Siamo tutti «pellegrini e forestieri sulla terra» e solo insieme possiamo divenire gli uni per gli altri «come una città dalle salde fondamenta» (Ebrei, 11), una città stabile dove abitare sulla terra e realizzare il bene della giustizia e della pace. Non si può essere sorelle se non abbattiamo l’individualismo che è dentro di noi, l’individualismo che ha generato nell’Occidente una cultura di morte.

Dobbiamo ascoltare profondamente la nostra interiorità per risentire echeggiare nel nostro “io” quel “tu” relazionale che ci mette in comunione con Dio e con i fratelli e con il creato. Solo così potremo leggere l’evoluzione e l’involuzione della storia, come processi dinamici della vita che non muore. Ogni donna è madre, capace di aprire strade nuove, di generare nuove possibilità di vita, cambiando dal basso, stili di vita che ormai danneggiano gravemente la società. Ogni donna, sorella universale, è capace di consolare chi è stato ferito e oltraggiato, di ridare forza di risorgere alle tante donne devastate nella loro dignità. Ogni donna, sorella universale, è capace di resistere al potere oppressivo come stiamo vedendo in questi giorni in Afghanistan ed è capace di inginocchiarsi di fronte alle armi disarmando chi le teneva in mano come è successo in Myanmar.

Senza gesti profetici non si può cambiare il mondo e questo è compito di ognuno di noi. Papa Francesco parla tanto della “tenerezza” come segno autentico di una umanità che sa farsi carico dei bisogni del mondo. In questi lunghi anni di monastero ho sperimentato più volte come le ferite che nascono nella fraternità possono guarire dallo sguardo di tenerezza e di perdono che ci doniamo reciprocamente.

Il perdono è anche forza politica che può rinnovare strutture ingiuste, come è ben evidenziato anche nell’enciclica di Papa Francesco; solo con il perdono possiamo ricucire gli strappi delle guerre e della violenza. È fondamentale comprendere che il perdono è una categoria che nasce solo all’interno di un processo esistenziale di gratuità: è “per-dono” che ognuno di noi può ogni giorno fare esperienza di riconciliazione con sé stesso, con Dio e con i fratelli.

Tutti, fratelli e sorelle, siamo chiamati alla tavola della vita e ognuno di noi deve essere pane buono per la vita dell’altro.

di suor Chiara Patrizia
Monastero di Santa Chiara a Urbino


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