
21 luglio 2021
Quel “male di vivere” di montaliana memoria serpeggia nelle tele di Edward Hopper, innervandole di uno spessore che si configura come una potente denuncia: l’incomunicabilità tra le persone. Tale assioma implica a sua volta un male che progressivamente corrode il tessuto sociale: la solitudine, che soggioga l’individuo, irridendo i suoi tentativi di stabilire un costruttivo rapporto con il mondo. Ma il pessimismo di Hopper non si risolve in un cupo e accigliato, e dunque sterile, atteggiamento di rinuncia. La sua non è una resa, non è una sconfitta: è piuttosto una scelta lucida e coraggiosa di fronte ad una realtà dura e che non fa sconti. Una scelta che è una sfida. E di conseguenza vedere (ed apprezzare) le opere del pittore statunitense — ciò può sembrare di primo acchito un ...
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