· Città del Vaticano ·

L'OSSERVATORE ROMANO
160 anni di storia guardando il futuro

Come la tenda di Abramo
aperta su tutti i lati

An AFP fact-cheking team journalist, works at Agence France-Presse Bureau in Rio de Janeiro, Brazil ...
01 luglio 2021

Espressione di una cultura millenaria, testimone di una quotidianità di fede e valori per miliardi di esseri umani disseminati in più Continenti, fonte di riflessione e curiosità per chi ha identità differenti, «L’Osservatore Romano» taglia il traguardo dei 160 anni con il meritato riconoscimento di costituire una formidabile eccezione nel panorama editoriale, globale e italiano.

Rappresentare le opinioni del Pontefice e interpretare la visione del mondo della Chiesa cattolica assegna a «L’Osservatore Romano» la responsabilità di descrivere i fatti con la lente di una storia antica e di un credo immanente. In qualsiasi angolo del giornale in carta o del sito Internet, qualsivoglia notizia, annuncio, commento o reportage ha una doppia, costante, responsabilità: descrivere con la serietà del giornalismo di qualità e interpretare con la lente della fede.

Ciò significa che chiunque lo legge, ogni giorno, può affacciarsi, tentare di comprendere, approfondire ed anche interrogarsi su un universo di valori, testi, interpretazioni e analisi che hanno almeno tre diversi livelli di lettura: quella semplice inerente al testo, l’analisi dei contenuti di lungo termine ed il segreto che si accompagna sempre alla fede, al legame indissolubile fra il Papa ed i suoi fedeli.

Da qui l’importanza e l’unicità di questo foglio plurisecolare. Importanza perché conoscere meglio una fede significa da un lato consolidarla fra chi la condivide e dall’altro difenderla dai pregiudizi di chi non la conosce. Unicità perché costituisce la trasparenza di un universo di fedeli che interagiscono con il mondo che li circonda sulla base della loro peculiare, irrinunciabile, granitica, convinzione religiosa.

Nulla da sorprendersi dunque se, di generazione in generazione, «L’Osservatore Romano» si è trovato protagonista di più processi culturali di portata epocale. All’inizio consentiva ai cittadini dello Stato Unitario di sapere cosa avveniva nello Stato Pontificio così come ai cittadini pontifici di preservare la propria identità, poi ha accompagnato nascita, sviluppo e rafforzamento delle relazioni fra Italia e Stato del Vaticano, fra Chiesa e Stato, e più in generale fra laici e cattolici, attraverso le terribili intemperie del Novecento. E quindi ha raccontato gli orizzonti di una Chiesa divenuta protagonista globale affrontando temi come la lotta alla povertà, la difesa del clima, il rispetto di ogni individuo, la riconciliazione con le Chiese ortodosse, il dialogo con Ebraismo ed Islam per sconfiggere ogni pregiudizio: con parole e sguardi sempre tesi ad un orizzonte universale.

Richiamandosi al precedente della tenda di Abramo, aperta su ogni lato per consentire sempre a chiunque di andare e venire: ovvero conoscere ed essere conosciuti.

In alcuni frangenti storici, dal concilio Vaticano ii all’attentato a Giovanni Paolo ii fino al recente viaggio di Papa Bergoglio in Iraq, «L’Osservatore Romano» ha saputo sovrapporre particolare e universale, riuscendo a parlare ai fedeli con un linguaggio capace di raggiungere anche chi non lo era.

Da qui il perdurante bisogno, nell’informazione italiana e globale, di un’eccezione editoriale figlia della Storia, interprete della fede e cittadina del mondo.

La rivoluzione digitale consente a «L’Osservatore Romano» di essere protagonista di una trasformazione capace di avvicinare alla lettura ed alla conoscenza una moltitudine di individui — anche chi finora ne è restato ai margini per le ragioni più differenti — e ciò significa affrontare la sfida di estendere i confini della propria comunità intellettuale fino a sovrapporsi come quelle degli altri. Le comunicazioni digitali presentano rischi ma offrono anche opportunità: i rischi vengono dalle fake news, dal cyber bullismo, dalla violazione della proprietà intellettuale, dall’aggressività sui social network, dalla diffusione di odio, intolleranza e disprezzo per il prossimo vestito da bugie mascherate da false verità. Tutto ciò minaccia i nostri diritti e le nostre libertà. Rendendo necessario la riproposizione nello spazio digitale delle protezioni per ogni individuo garantite dallo Stato di Diritto. E vincere questa sfida — ovvero riuscendo a teorizzare, codificare, applicare e proteggere i diritti digitali — può portare all’effetto opposto, a estendere lo spazio di libertà nel cyber space, aprendo alla conoscenza ed al Diritto nuove, avvincenti frontiere. Capaci di offrire più opportunità e prosperità alle nuove generazioni.

Il banco di prova della nuova informazione sono dunque i diritti digitali ovvero la possibilità di trasformare Internet da una sorta di far west dove ogni illegalità è possibile ad uno spazio della conoscenza umana regolato da leggi fondate sul rispetto dei diritti universali degli individui. Davanti al bivio fra fake news e diritti digitali a fare la differenza può essere la responsabilità di ogni singolo individuo ovvero la capacità dei cittadini di esercitare il libero arbitrio per far prevalere la conoscenza sull’intolleranza, il rispetto della legge sul crimine, lo studio sull’oblio e, in ultima istanza, il rispetto per l’altro sull’odio per il prossimo. È un bivio chiaro, inequivocabile e spietato: sbagliare strada significa non aver più la possibilità di tornare indietro. Per questo ogni notizia, ogni tassello di conoscenza e, in ultima istanza, ogni giornalista può fare la differenza. Così come sta ad ogni lettrice e lettore porsi davanti alla rivoluzione digitale mostrando consapevolezza sulla necessità di distinguere le opportunità dal rischio, lo studio dall’ignoranza, la qualità dei contenuti dalla violenza non solo verbale.

Per l’Italia, e non solo, tutto ciò può trasformarsi in un formidabile momento di crescita, rinnovando nella nostra epoca, l’irrinunciabile vitalità per ogni democrazia del rapporto — continuo, trasparente e schietto — fra laici e cattolici.

di Maurizio Molinari,
direttore de «La Repubblica»


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