Quattro pagine - Approfondimenti di cultura, società, scienze e arte

Dandoci le spalle, una persona cammina in una terra arida. Sembra appena entrata nel nostro campo di osservazione mentre procede a passo sicuro verso la linea dell’orizzonte, verso la montagna innevata, lontanissima, i cui toni tra il celeste e il bianco sfumano nel cielo. Questa immagine di Zakaria Wakrim, fotografo originario del Marocco, è a nostro avviso una raffigurazione potente della sete, o quanto meno dei suoi due principali volti.
Da un lato la sete fisica che prova l’organismo quando gli viene a mancare un elemento indispensabile alla sopravvivenza, per motivi contingenti o strutturali, a causa di conflitti, calamità naturali o disastri indotti. Una sete che molti popoli ben conoscono, e che sempre più spesso è frutto di un’umanità che depreda. Dall’altro, invece, la sete come impulso che spinge l’umanità verso la conoscenza, l’ignoto, il soprannaturale.
Delle due facce della sete è piena l’arte, le cui espressioni (pittura, poesia, prosa, fotografia…) hanno tutte provato a raccontarla — forse perché, come scrive Sergio Massironi, «le immagini contano più dei concetti, la narrazione più delle definizioni». Anche la Scrittura è pervasa dalle due facce della sete («un’esperienza positiva che deve aprire a Dio; ma la condizione di assetato è un male che Dio non vuole e bisogna cercare di sopprimere», nelle parole di Xavier Léon-Dufour). Penso alle lacrime di Agar nel deserto, disperata per la fine che sente vicina per suo figlio e per sé; penso al «Chi ha sete, venga» che quasi chiude il libro dell’Apocalisse. È la sete dell’umanità per i suoi simili, per tutto ciò che è terreno e per tutto ciò che terreno non lo è. Ma è anche — Papa Francesco l’ha ricordato giusto qualche giorno fa — la sete di Dio per noi.
Alla sete, e ad alcune delle sue possibili declinazioni, è dedicato questo numero di Quattro Pagine. Alla sete come bisogno vitale, fisico o spirituale che sia, nella certezza che ovunque un pozzo sia lasciato lavorare nella pace e nella giustizia, ovunque lo sguardo di Ulisse e quello della Samaritana trovino risposta, essa sarà finalmente placata. Perché la terra è arida, ma nell’orizzonte vi può essere ristoro.
di