
«Dall’Italia mi hanno chiesto come vivo in un Paese musulmano questo tempo di pandemia. Mah! che dire? Innanzitutto pregando, com’è dovere di ogni sacerdote; poi come un nostalgico anziano che raccoglie i suoi ricordi. Ho scritto quelli che si riferiscono ai momenti più salienti dei quarant’anni della mia vita missionaria, prima a Smirne, poi qui ad Antiochia. Anni pieni, ora facili ora difficili, ma sempre belli. Vuoi o non vuoi, la Turchia è una seconda Terra Santa sia per la predicazione degli apostoli che per la presenza della prime comunità cristiane. Smirne è a due passi da Efeso, dove secondo un’antica tradizione, è vissuta la Madonna; Antiochia la città in cui i discepoli furono chiamati cristiani. Che si vuole di più?»
Padre Domenico Bertogli è parroco della piccola comunità cattolica di Antiochia, quindi, non potendo accogliere nella sua piccola chiesa la sua comunità, né potendo uscire per incontrarla (dal 21 marzo è stata imposta la proibizione di uscire di casa prima agli ultra sessantacinquenni e dal 4 aprile pure ai ragazzi e giovani fino a 20 anni, scombussolando la vita di ottanta milioni di persone), non poteva abbandonarla, quindi ha preso provvedimenti “moderni” per non lasciare soli i fedeli che frequentano abitualmente la chiesa. Ogni mattina ha inviato i testi delle letture della messa a un centinaio di indirizzi con WathsApp, come anche quelli della messa prefestiva e della domenica pomeriggio. I venerdì di maggio ha trasmesso in streaming la Via crucis e il Rosario, nonché una breve catechesi mariana. Tutta la settimana in chiesa sono stati presenti solo i tre figli della domestica che vive nella missione da vent’anni, tutti studenti universitari, che hanno sostituito molto bene l’abituale assemblea pre-coronavirus domenicale, compresi i canti. Per il triduo sacro è stato suggerito ai fedeli di unirsi spiritualmente alla mini assemblea, trasformando la casa in una piccola chiesa domestica: mensa coperta con la migliore tovaglia che c’è in famiglia («ne hanno alcune stupende», scrive padre Domenico) con il crocifisso, una icona e la Bibbia. Lo hanno fatto tutti e hanno inviato una fotografia al parroco, dicendo di aver vissuto una Pasqua insolita, ma in cui si è avvertita veramente la presenza di Cristo Risorto, da ricordare gnler kullanim, (per molti bei giorni).
«Personalmente — confessa il parroco — ho vissuto la lunga quarantena in parte scrivendo i miei ricordi, come ho detto, ma più come un tempo di esercizi spirituali non ancora finito, perché, a quanto si dice, le chiese resteranno chiuse fino al 12 giugno, come le moschee. Io credo che il Signore parli attraverso la storia e gli avvenimenti quotidiani e con questi ci mandi i suoi messaggi. La solitudine, il silenzio, la lontananza dalla vita caotica di ogni giorno, è un’opportunità importante per riflettere sul significato della vita» e del dialogo, vorremmo aggiungere noi, perché si comprenda che Hepsi bir, tutti siamo uno, come dicono i turchi. «Avendo un ampio spazio di verde, esco all’aperto e, come tutti — conclude il sacerdote — aspetto che questo veleno possa fare la fine di quelli che lo hanno preceduto: cioè che riposi e lasci riposare in pace!».
di Egidio Picucci