La quarantena di un parroco in Turchia

Per riflettere sul significato della vita

Padre Domenico Bertogli.JPG
09 giugno 2020

«Dall’Italia mi hanno chiesto come vivo in un Paese musulmano questo tempo di pandemia. Mah! che dire? Innanzitutto pregando, com’è dovere di ogni sacerdote; poi come un nostalgico anziano che raccoglie i suoi ricordi. Ho scritto quelli che si riferiscono ai momenti più salienti dei quarant’anni della mia vita missionaria, prima a Smirne, poi qui ad Antiochia. Anni pieni, ora facili ora difficili, ma sempre belli. Vuoi o non vuoi, la Turchia è una seconda Terra Santa sia per la predicazione degli apostoli che per la presenza della prime comunità cristiane. Smirne è a due passi da Efeso, dove secondo un’antica tradizione, è vissuta la Madonna; Antiochia la città in cui i discepoli furono chiamati cristiani. Che si vuole di più?»

Padre Domenico Bertogli è parroco della piccola comunità cattolica di Antiochia, quindi, non potendo accogliere nella sua piccola chiesa la sua comunità, né potendo uscire per incontrarla (dal 21 marzo è stata imposta la proibizione di uscire di casa prima agli ultra sessantacinquenni e dal 4 aprile pure ai ragazzi e giovani fino a 20 anni, scombussolando la vita di ottanta milioni di persone), non poteva abbandonarla, quindi ha preso provvedimenti “moderni” per non lasciare soli i fedeli che frequentano abitualmente la chiesa. Ogni mattina ha inviato i testi delle letture della messa a un centinaio di indirizzi con WathsApp, come anche quelli della messa prefestiva e della domenica pomeriggio. I venerdì di maggio ha trasmesso in streaming la Via crucis e il Rosario, nonché una breve catechesi mariana. Tutta la settimana in chiesa sono stati presenti solo i tre figli della domestica che vive nella missione da vent’anni, tutti studenti universitari, che hanno sostituito molto bene l’abituale assemblea pre-coronavirus domenicale, compresi i canti. Per il triduo sacro è stato suggerito ai fedeli di unirsi spiritualmente alla mini assemblea, trasformando la casa in una piccola chiesa domestica: mensa coperta con la migliore tovaglia che c’è in famiglia («ne hanno alcune stupende», scrive padre Domenico) con il crocifisso, una icona e la Bibbia. Lo hanno fatto tutti e hanno inviato una fotografia al parroco, dicendo di aver vissuto una Pasqua insolita, ma in cui si è avvertita veramente la presenza di Cristo Risorto, da ricordare gnler kullanim, (per molti bei giorni).

«Personalmente — confessa il parroco — ho vissuto la lunga quarantena in parte scrivendo i miei ricordi, come ho detto, ma più come un tempo di esercizi spirituali non ancora finito, perché, a quanto si dice, le chiese resteranno chiuse fino al 12 giugno, come le moschee. Io credo che il Signore parli attraverso la storia e gli avvenimenti quotidiani e con questi ci mandi i suoi messaggi. La solitudine, il silenzio, la lontananza dalla vita caotica di ogni giorno, è un’opportunità importante per riflettere sul significato della vita» e del dialogo, vorremmo aggiungere noi, perché si comprenda che Hepsi bir, tutti siamo uno, come dicono i turchi. «Avendo un ampio spazio di verde, esco all’aperto e, come tutti — conclude il sacerdote — aspetto che questo veleno possa fare la fine di quelli che lo hanno preceduto: cioè che riposi e lasci riposare in pace!».

di Egidio Picucci