Cento anni fa nasceva

di Federico Piana
La sua tonaca consunta, chi ha avuto la fortuna di conoscerlo, non se la scorderà mai più. Come non potrà archiviare nei cassetti della memoria quello sguardo diretto e penetrante che ti toccava l’anima, fino a scavare nei punti più difficili, nascosti, inconfessabili.
Don Oreste Benzi, domani 7 settembre, compie cent’anni dalla sua nascita, ma è come se non se ne fosse mai andato. Il prete, nato nel piccolo comune riminese di San Clemente il 7 settembre del 1925 e morto a Rimini nell’inverno di 2007, vive ancora nelle sue opere di carità, nei suoi gesti verso gli ultimi, nelle sue carezze a chi si sentiva abbandonato e messo ai margini, nell’accoglienza di chi la società si prendeva la briga di scartare.
Leone XIV, in un messaggio a firma del cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin, e letto durante la celebrazione eucaristica che ieri a Rimini ha aperto tre giorni di dibatti, incontri e convegni per ricordarne la figura, ha voluto ringraziare il Signore «per aver suscitato nella Chiesa un così zelante sacerdote e intrepido testimone del Vangelo» e auspicato «che il suo ricordo sia motivo di rinnovato impegno in favore delle persone fragili e bisognose».
Non è un caso che quella messa di ieri sia stata celebrata in un’assolata spiaggia del capoluogo emiliano-romagnolo. Don Oreste, negli anni ’70, proprio su quei bagnasciuga ingaggiò una lotta senza pari con la società benpensante di allora celebrando l’Eucaristia per i ragazzi con disabilità che erano respinti e rifiutati da alberghi, stabilimenti balneari, ristoranti, perché giudicati elementi poco desiderabili e disturbanti. Un gesto rivoluzionario e profetico allo stesso tempo.
«Don Oreste non aveva mezze misure, perché l’unica misura per lui era l’amore. Diceva che ogni persona si sente qualcuno solo nella misura in cui esiste per qualcun altro. Ecco la sua rivoluzione: ci ha insegnato che non ci sono vite di serie B, che non possiamo relegare nessuno dietro un vetro di pietismo o compassione. Quell’amore non è buonismo, ma forza capace di cambiare la storia» ha ricordato, nella sua omelia, il cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza episcopale italiana.
L’ amore incontenibile di don Oreste, già alla fine del 1960, lo aveva spinto a fondare la Comunità Papa Giovanni XXIII che negli anni ha dato vita a decine di progetti in Italia e all’estero, come case famiglia e di preghiera, comunità terapeutiche per i tossicodipendenti, cooperative sociali, centri diurni per il sostegno ai disabili gravi.
Chi ha potuto conoscerlo bene, racconta che il prete dalla tonaca lisa, sesto di nove figli di una famiglia povera, non fondò nulla studiando prima le mosse a tavolino: fu l’inevitabile risposta di chi aveva sempre vissuto accanto agli ultimi senza barriere, senza distanze. Donandosi totalmente.
Cosa rappresenta per la Chiesa e per il mondo questo uomo imbevuto totalmente di Vangelo? Lo spiega bene a «L’Osservatore Romano» Matteo Fadda, responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XIII. Che per farlo utilizza una definizione di Benedetto XVI: «Una volta, di don Oreste, disse: fu un infaticabile apostolo della carità. È un’ottima sintesi». Lui, aggiunge, ci lascia in eredità una profezia: «Quella legata al tema della società del gratuito, interpretazione del tema sulla società dell’amore della quale parlava spesso Paolo VI. Oggi, don Oreste, ci invita a non voltarci dall’altra parte, a non ignorare le sofferenze del mondo piagato da odio, guerre e indifferenza».