· Città del Vaticano ·

La buona Notizia
Il Vangelo della XXIII domenica del tempo ordinario (Lc, 14, 25-33)

Un temporale inaspettato

 Un temporale inaspettato  QUO-201
02 settembre 2025

di Giacomo Poretti

E poi ci si lamenta che non c’è più religione! Ma per forza dai, cosa si pretende da noi che volentieri andremmo a messa tutte le domeniche, certo magari se dobbiamo andare al mare il Signore capirà: dopo una settimana di lavoro stressante e complicazioni in famiglia forse un’Ave Maria in autostrada potrà bastare; noi che mettiamo la foto del Papa sulla libreria di fianco a quella della nostra famiglia! Noi che ci ricordiamo sempre del triduo pasquale e il Venerdì Santo alle 15, immancabilmente, sulle piste da sci ci fermiamo, togliamo i guanti, recitiamo l’eterno riposo e poi via, sgravati e alleggeriti dal senso di colpa, verso il rifugio a rifocillarci con una bella polenta concia.

Noi che la vigilia di Natale anteponiamo la messa delle 18 prima dei cappelletti in brodo, del fois gras, del salmone, e dello champagne e attendiamo rispettosamente che nasca, per poi scambiarci come doni i maglioni di cachemire e le sneakers all’ultima moda. Cosa si può pretendere ancora di più?

Noi che abbiamo in cucina il calendario che ogni giorno ci ricorda il suo santo! Noi che facciamo tutto per la nostra famiglia: compriamo un monolocale a Milano che costa più di tre ville al mare per nostra figlia che studia “Strategie dei mercati e analisi del cash flow brandizzato”, e abbiamo comperato a nostro figlio la racchetta di Sinner perché ha il rovescio migliore di tutta la Terza C. Noi, dico noi mariti, che compriamo ogni anno un brillante a nostra moglie non in un giorno qualsiasi ma il giorno di un santo, san Valentino.

Poi una domenica al rientro dalle vacanze — che voglio dire potremmo starcene a casa perché ieri abbiamo fatto cinque ore di coda in autostrada e invece no — andiamo a messa alle 11 e cosa ci sentiamo dire? «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo».

Come si può pretendere qualcosa di più della dedizione alla famiglia? Come non si può riconoscere i sacrifici necessari per l’acquisto del monolocale, della racchetta, degli smart working il sabato per poter andare a Pasqua a Cortina, come non essere riconoscenti a colui che paga la retta della Rsa del proprio vecchio genitore: e siamo sempre noi, che “allunghiamo” qualche ora di straordinario per poterci permettere di regalare a nostra moglie un gioiello e un mazzo di fiori; noi che almeno una volta all’anno recitiamo l’Eterno riposo davanti alla lapide di nostra madre.

Ma, perdonate il sospetto, l’avranno tradotto bene quel brano del Vangelo? E per caso non è rivolto solo a chi vorrà fare una vita consacrata, un prete, una suora? Noi poveri cristi che c’entriamo?

Questo Vangelo è come un temporale inaspettato, indigesto. Mi ha ricordato un episodio altrettanto sconvolgente, quando un vecchio prete venne a trovare me e mia moglie in ospedale perché qualche ora prima era nato nostro figlio; salutandoci e rallegrandosi disse: « Bene avete fatto un corpo, ora dovete farne un anima». Anima e Vangelo le due più grandi fregature che ci possano capitare!