· Città del Vaticano ·

Il pellegrinaggio giubilare dei giovani della Comunità di Sant’Egidio

Portatori di pace e speranza
per le vie del mondo

 Portatori di pace e speranza  per le vie del mondo  QUO-199
30 agosto 2025

di Federico Piana

Lo sguardo dritto verso la basilica Vaticana, il sorriso contagioso che trasuda speranza, il cuore carico d’emozione per un momento solenne come quello del passaggio della Porta Santa vissuto uno accanto all’altro, mano nella mano. Il loro pellegrinaggio giubilare, i giovani della Comunità di Sant’Egidio, forse non potranno dimenticarlo mai più.

Questa mattina, sabato 30 agosto, oltre 1200 tra universitari e studenti delle scuole superiori provenienti da 12 Paesi europei, compresi rappresentanti di Africa, America Latina e Asia, e una nutrita delegazione di ragazzi e ragazze della martoriata Ucraina, hanno sfilato da via della Conciliazione portando la croce lignea dell’Anno Santo, pregando, cantando. E invocando la pace per tutti i popoli. Come hanno gridato gioiosamente fin dall’inizio del loro convegno internazionale “Global Friendship Peace Hope” iniziato a Roma il 28 agosto e che termina stasera con la Celebrazione eucaristica nella basilica papale di Santa Maria Maggiore e successivamente con un party per la pace.

«Per me questo pellegrinaggio è un momento molto importante perché sono aramaico-cattolico e la dimensione della fede rappresenta un pilastro irrinunciabile dell’esistenza» racconta Admon Al-Habib, un ragazzo siriano arrivato in Italia nove anni fa con i corridoi umanitari.

Dopo essere scappato dalla guerra ed essere stato accolto ed aiutato, Admon ha deciso di unirsi al movimento Giovani per la pace di Sant’Egidio, con i quali da allora non perde occasione per restituire quel fiume di carità che aveva ricevuto in dono: «Faccio quello che è stato fatto a me quando sono arrivato nel 2016: sto accanto ai poveri, agli ultimi, agli scartati. Nella nostra comunità crediamo che ogni persona può dare qualcosa agli altri. Nessuno è così povero da non poterlo fare».

Nel corteo colorato e festante dei giovani in marcia verso la basilica Vaticana c’è anche Weronika Świergiel. Polacca di Poznań, la quinta città più grande della nazione, studia medicina e questo pellegrinaggio giubilare non se lo sarebbe perso per nulla al mondo: «Partecipare vuol dire non solo sentirsi parte di Sant’Egidio ma della Chiesa cattolica universale. Vuol dire anche tornare al Vangelo che guida da sempre la nostra comunità. E poi farlo con amici, che provengono da quasi tutto il mondo, è una cosa davvero bella ed emozionante».

Quello che da forza a Weronika è vedere che tutti i suoi coetanei che stanno partecipando al “Global Friendship Peace Hope” si impegnano senza riserve per chi ha bisogno, come i senza fissa dimora e i rifugiati. «Quando tornerò a casa da questa esperienza — afferma — e dovrò affrontare le fatiche della quotidianità ripenserò a questi momenti e troverò la forza per continuare a stare vicino a chi davvero ha necessità».

Gesti concreti che aiutano a costruire la pace dal basso come il flashmob a cui, ieri sera, i giovani di Sant’Egidio hanno dato vita davanti al Pantheon, dove si sono alternate toccanti testimonianze di ragazze e ragazzi.

La voce di Ania, che a Kyiv sta vivendo la crudeltà e l’insensatezza della guerra ucraina, ha domandato cosa sia la speranza tra bombe e cadaveri: «È l’alternativa al male — ha risposto —. È il lato di un Paese avvolto nell’oscurità. Anche se molti giovani ogni giorno lasciano l’Ucraina noi siamo la generazione che ricostruirà questa nazione. Noi scegliamo di restare per aiutare chi ha bisogno di noi».

Anche Zohra Sarabi ha deciso di non girare la testa dell’altra parte. Il suo racconto di ragazza afghana, arrivata in Italia grazie ai corridoi umanitari, è iniziato con il dolore per il viaggio, per l’abbandono dei genitori e del suo Paese dopo la presa del potere da parte dei talebani: «Tutti i miei sogni si sono spezzati. Le libertà, soprattutto quelle delle donne, sono state cancellate». Ma poi, con la Comunità di Sant’Egidio, c’è stata la rinascita. «Oggi ho imparato l’italiano, ho ripreso a studiare e ho fatto perfino l’esame di Diritto pubblico».

Nel suo discorso d’apertura del convegno, pronunciato al centro congressi la Nuvola lo scorso 28 agosto, il presidente di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo, aveva ammonito: «C’è un clima di rassegnazione e cinismo che circonda i giovani. Un clima pesante, inquinato da giudizi severi, un clima che schiaccia sogni e speranze». Per contrastare tutto questo non aveva esitato a indicare una strada, forse l’unica possibile: «Investire nella fraternità, nella gratuità e nell’amore, perché il legame non è una costrizione ma una liberazione che connette al resto del mondo».

Certamente, possono essere un faro illuminante la vita e le gesta di Floribert Bwana Chui, il giovane di Goma, nella Repubblica Democratica del Congo, appartenente alla Comunità di Sant’Egidio, assassinato nel 2007 dopo aver resistito a un tentativo di corruzione. La sua recente beatificazione, ha spiegato Impagliazzo, fa capire che per combattere «la violenza e la dimenticanza degli altri dobbiamo praticare la speranza che cambia il mondo».