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Gli Stati Uniti negano i visti ai rappresentanti dell’Anp e dell’Olp in occasione dell’assemblea generale. Intanto Israele dichiara Gaza City «zona di combattimento pericolosa»

Onu senza Palestina

Palestinian Ambassador to the UN Riyad Mansour (L) takes his seat at the start of a United Nations ...
30 agosto 2025

Tel Aviv, 30. Mentre le Forze di difesa israeliane (Idf) hanno dichiarato ieri l’area di Gaza City, «una zona di combattimento pericolosa», il segretario di Stato americano, Marco Rubio, ha negato e revocato i visti ai membri dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) e dell’Autorità Palestinese (Anp), in vista dell’imminente assemblea generale delle Nazioni Unite. Una decisione arrivata perché, si legge in una nota del dipartimento di Stato, «è nel nostro interesse per la sicurezza nazionale ritenere l’Olp e l’Anp responsabili del mancato rispetto dei loro impegni e del minare le prospettive di pace». Prima che possano essere considerate partner per una soluzione del conflitto, continua il dipartimento di Stato degli Stati Uniti, «devono ripudiare sistematicamente il terrorismo, incluso il massacro del 7 ottobre, e porre fine all’incitamento al terrorismo nell’istruzione, come richiesto dalla legge statunitense e come promesso dall’Olp».

L’ufficio del presidente palestinese, Mahmoud Abbas, ha espresso «profondo rammarico e stupore» per l’accaduto, in quanto la decisione «è in chiara contraddizione con il diritto internazionale e con l’Accordo sulla sede delle Nazioni Unite, in particolare considerando che lo Stato di Palestina è membro osservatore delle Nazioni Unite».

Le Nazioni Unite, tramite il portavoce, hanno fatto sapere intanto che «discuteranno con il dipartimento di Stato» la questione dei visti Usa negati alla delegazione palestinese che dovrebbe essere presente ai lavori dell’assemblea generale in programma a New York dal 9 al 23 settembre: «Tutti gli Stati membri e gli osservatori permanenti hanno diritto a essere rappresentati». Gli Stati Uniti, infatti, sono tenuti a far partecipare tutti i membri dell’Onu ai lavori e dunque le restrizioni al visto dovrebbero riguardare solo gli spostamenti sul suolo americano esterno al Palazzo di Vetro, dove si terrà l’assemblea generale.

Intanto a Gaza i combattimenti si fanno sempre più violenti e la guerra continua a mietere vittime. Secondo l’agenzia di stampa palestinese Wafa, almeno 22 civili sono stati uccisi e decine sono rimasti feriti nei bombardamenti israeliani che hanno colpito diverse aree della Striscia di Gaza, con attacchi particolarmente intensi a Gaza City. Le Idf avrebbero sganciato bombe fumogene sulla città, rendendo l’area irrespirabile, per poi costringere i palestinesi a lasciare tende, rifugi e case. Fonti locali citate da Wafa hanno riferito che le forze israeliane hanno aperto il fuoco con mitragliatrici pesanti contro palestinesi in attesa di aiuti a sud della zona della valle di Gaza, causando la morte di 5 persone. Squadre di soccorso hanno recuperato i corpi di 3 persone dopo il bombardamento di una casa nel campo profughi di Nuseirat.

Durante un’operazione militare a Gaza City condotta da Hamas, un soldato israeliano è stato ucciso e almeno undici sono rimasti gravemente feriti, ha riferito l’emittente Al Jazeera, citando fonti dei media israeliani. Stando alle prime ricostruzioni, i militari dell’Idf sarebbero caduti in un’imboscata nel quartiere di Zeitoun, a est di Gaza City, dove un veicolo blindato sarebbe esploso in seguito alla detonazione di un ordigno, provocando il ferimento di sette militari, tre dei quali in condizioni critiche. Fonti mediatiche riferiscono inoltre che l’esercito ha iniziato a ritirare le proprie truppe dal quartiere e a ricondurle nelle caserme, mentre quattro soldati risultano dispersi.

Nel frattempo ieri i ministri degli Esteri di Slovenia, Spagna, Irlanda, Islanda, Lussemburgo e Norvegia, in una dichiarazione congiunta, hanno condannato fermamente l’ultima offensiva israeliana nella Striscia di Gaza e hanno chiesto al governo di Israele di «riconsiderare la sua decisione e di cessare le operazioni» militari. I sei Paesi hanno osservato che l’escalation mette a rischio la vita degli ostaggi e causa la morte di civili palestinesi innocenti. Nella dichiarazione, è stato denunciato anche lo sfollamento forzato della popolazione come «violazione flagrante del diritto internazionale», oltre che espresso orrore per la carestia confermata nella regione di Gaza e la distruzione delle infrastrutture civili, comprese quelle usate come rifugio per la popolazione sfollata. I ministri hanno esortato Israele a rispettare i suoi obblighi umanitari, consentendo alle agenzie dell’Onu e alle ong di operare liberamente per fornire aiuti su larga scala. Intanto l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, l’Unrwa, ha dichiarato che i suoi magazzini in Egitto e Giordania sono pieni e pronti a consegnare circa 6.000 camion di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza: «Il divieto imposto dalle autorità israeliane all’ingresso degli aiuti umanitari dell’Unrwa a Gaza deve essere revocato».

In questa situazione di grave crisi alimentare, almeno dieci persone, tre dei quali minorenni, sono morte ieri a Gaza per cause legate alla malnutrizione e alla fame, stando a quanto reso noto dai responsabili della sanità dell’enclave. Secondo le autorità locali, dall’inizio dell’offensiva israeliana le vittime della malnutrizione sarebbero almeno 332, tra cui 124 bambini.