«Non chiudere gli occhi

di Stefano Leszczynski
Secondo la risoluzione, negoziata in due settimane principalmente tra Stati Uniti e Francia, l’Unifil dovrà «iniziare un disimpegno e un ritiro ordinati dal sud del Libano a partire dal 31 dicembre 2026 e per un anno», il tutto «con l’obiettivo di rendere il governo libanese l’unico garante della sicurezza nel sud del Paese». Durante questa transizione di un anno, l’Unifil avrà il compito di garantire la sicurezza e i servizi del suo personale (poco più di 10.000 unità) durante il ritiro. La missione dovrà inoltre «contribuire alla protezione dei civili e alla fornitura di assistenza umanitaria attraverso canali civili, entro i limiti delle sue capacità». La risoluzione richiede, inoltre, al governo israeliano di ritirarsi a sud della Linea Blu, il confine di fatto tra i due Paesi, «comprese le cinque posizioni che mantiene in territorio libanese», un punto su cui il ministero degli Esteri israeliano non ha rilasciato dichiarazioni.
La decisione adottata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è stata presa all’unanimità giovedì 28 agosto quando i 15 stati membri hanno votato il testo della risoluzione fortemente voluta dagli Stati Uniti, ma ridimensionata rispetto alla formulazione originale che poneva tempi di smobilitazione più stringenti. Le prime reazioni internazionali all’annuncio della fine della missione più longeva della storia dell’Onu (data di inizio 1978, ndr.) sono contrastanti e bastano a giustificare la sensazione di incertezza circa le conseguenze di questa decisione.
«È interessante leggere tra le righe quello che ha dichiarato il presidente libanese Joseph Aoun — nota Claudio Bertolotti, ricercatore associato dell’Ispi — che ha di fatto ribaltato un po’ l’interpretazione prevalente sulla conclusione dell’operazione Unifil. Aoun ha, infatti, ringraziato per l’estensione della missione fino al 31 dicembre 2026 e non soltanto per sei mesi, come chiesto informalmente da Israele agli Stati Uniti». Lo scenario mediorientale che si viene ora a delineare lascia aperte diverse ipotesi per il futuro, ma di certo si tratta di una condizione che risponde ai cambiamenti in atto. «Si è trattato — dice ancora Bertolotti — di un’esperienza che, pur con dei benefici, di fatto non ha raggiunto i suoi scopi, in particolare quello di impedire che l’area a sud del fiume Litani potesse essere utilizzata da Hezbollah per la collocazione di armi ed equipaggiamenti o per il libero movimento dei suoi miliziani».
Il timore più grande per i libanesi è che senza questa presenza internazionale possa calare il buio sul sud del Libano. Una preoccupazione cui dà voce sui media vaticani il vicario apostolico di Beirut dei Latini, monsignor César Essayan: «La presenza di Unifil per i libanesi in particolare del sud è motivo di serenità. Sono soldati di pace che hanno sempre cercato di essere d’aiuto alla gente, anche cercando di stemperare i momenti di tensione. Nel momento in cui il contingente internazionale non ci sarà più, il rischio è che nessuno sappia più niente del sud del Libano, con il pericolo di lasciare spazio a chi vorrà abusare di questa terra».
«Non credo che la decisione di mettere fine alla missione di Unifil voglia dire abbandonare il Libano a sé stesso — afferma Bertolotti —. Credo che nessuno voglia vedere un secondo Afghanistan. Piuttosto — prosegue l’analista dell’Ispi — potrebbe esserci un maggiore rafforzamento dell’aiuto diretto nei confronti del Libano, in primis da parte degli Stati Uniti e a seguire da parte di Israele. Perché l’obiettivo comune è quello di limitare la forza delle componenti politiche che godono di un supporto e di una organizzazione militare che può minacciare lo stesso Stato libanese».
E in questo senso sembra andare proprio l’impegno della Francia, come emerso dall’incontro tra il presidente Macron, il presidente Aoun e il premier libanese Nawaf Salam: «Ho ribadito — ha detto Macron — la nostra determinazione a convocare, entro la fine dell’anno, due conferenze: la prima a sostegno delle Forze Armate libanesi, pilastro della sovranità del Paese, e la seconda per la ripresa e la ricostruzione del Libano». Dunque sicurezza ripristinata, sovranità affermata, prosperità ricostruita saranno i futuri pilastri del Paese dei Cedri.
«La nostra speranza — chiosa monsignor Essayan — è che entro un anno il mondo vada a trovare strade di pace sia in Europa che qui in Medio oriente. Per questo dico se il ritiro di Unifil significa che stiamo preparando la pace, va bene. Ma che sia una pace dignitosa, non basata sulla cancellazione dell’altro».