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Olimpiadi?
No, c’è da vendere il latte
a Castel Gandolfo

 Olimpiadi? No, c’è da vendere il latte a Castel Gandolfo  QUO-194
25 agosto 2025

Mungere mucche e vendere latte fresco alla gente di Castel Gandolfo vale più di una medaglia alle Olimpiadi. È la storia del canoista Alvaro Caldarini (per tutti Giuliano), classe 1936, morto lo scorso 17 aprile. Aveva 89 anni. Dal 1973 al 2001 ha lavorato come dipendente, manovale nel settore edilizio, delle Ville Pontificie a Castel Gandolfo.

E sì, Alvaro era pronto con il suo kayak per le Olimpiadi di Tokyo in programma tra il 20 e il 22 ottobre 1964, nel bacino del lago Sagami a Sagamihara. Sovietici, tedeschi (la Germania aveva la squadra olimpica unificata Est e Ovest) e svedesi gli avversari più forti. Il tecnico della Federazione italiana, l’ungherese Kálmán Blahó, lo aveva convocato per i raduni di rifinitura della nazionale. In alta montagna. Lontano da Castel Gandolfo e da quel lago perfetto per remare che per Alvaro era “la casa”. Problema insormontabile.

«La produzione e la vendita del latte era l’unica fonte di sostentamento e non avevamo la possibilità di prendere qualche lavorante a nostro servizio: dovevo svegliarmi la mattina presto e andare a mungere le nostre mucche, poi imbottigliavamo il latte per venderlo in paese ed era un lavoro quotidiano, non esistevano giorni di riposo o ferie» ricordava Alvaro che a Castel Gandolfo tutti chiamavano Giuliano. Una storia semplice: in paese c’era un altro Alvaro Caldarini e così... si è trovato con il nome cambiato in Giuliano.

Gli allenamenti sul lago erano una pratica serale quotidiana, rigorosamente dopo la giornata di lavoro. Ma andar via da Castel Gandolfo per far sport... manco a immaginarlo. «A malincuore dovetti rinunciare al sogno olimpico» raccontava Alvaro. «Il mio posto a Tokyo, quasi sicuro visto i tempi che segnavo in kayak, lo prese il mio amico e compagno di voga Claudio Agnisetta».

I canoisti castellani — fanno presente gli esperti — sono tosti, fieri, genuini, tanto da non mollare mai neppure un metro. Dagli anni ‘60 sono sportivamente “figli” di Aldo Dezi, riferimento assoluto per tutti i giovani dei Castelli romani che hanno praticato la canoa. Proprio Dezzi e Francesco La Macchia hanno vinto, il 29 agosto 1960, ai Giochi di Roma la prima medaglia olimpica per la canoa italiana (c2 1000 metri). Un argento storico. Staccati di 3 secondi della coppia sovietica, campione del mondo in carica, formata dal bielorusso Leonid Geishtor e dall’ucraino Sergei Makarenko.

Proprio in quel 1960 così magico per lo sport Alvaro ha iniziato a remare con il kayak nelle prove di velocità. A metterlo in barca Dezi in persona, l’argento olimpico. Ed ecco le prime vittorie, anche sul Tevere e nel laghetto dell’Eur. Fino al successo importante nel 1963 al campionato italiano sui 10.000 metri a Mantova: saranno ben 11 i titoli nazionali vinti in carriera. Per Alvaro sono stati anni straordinari, con a disposizione gli impianti sportivi costruiti per le regate olimpiche sul “suo” lago e i compagni di allenamento più forti.

Giornate dure, certo. Con la sveglia all’alba per il lavoro nella piccola impresa di famiglia e poi le ore di allenamento la sera e in canoa di fatica parecchio. Ricordava Alvaro: «Avevo belle soddisfazioni e ben presto sono entrato nel giro della nazionale. Ero competitivo sia sulle gare di fondo, la mia specialità, sia sulle distanze più brevi. E così sono stato inserito nella lista dei probabili olimpici per le Olimpiadi di Tokyo, convocato per le selezioni a suon di vittorie».

Rimpianti per i Giochi mancati? Sicuramente sì. Ma Alvaro era troppo legato al lago, alla passione sportiva e ai suoi amici canoisti. Non ha smesso. Anzi, faceva notare: «Mi sono tolto altre soddisfazioni, beh, non paragonabili alla partecipazione alle Olimpiadi». Nel 1969 ha vinto la classica gara internazionale di discesa del fiume Sella (Descenso del Río Sella de Ribadesella, conosciuta come Fiesta de las piraguas), nelle Asturie in Spagna, che si disputa il primo sabato di agosto. Una gara spettacolare e particolarmente complicata: circa 30 km a capofitto, tra ostacoli di ogni genere e regole spregiudicate “da Palio di Siena”.

Negli anni ‘90, sempre sul lago di Castel Gandolfo, la passione per il colpo di remo lo ha portato anche sul dragon boat per vincere Mondiale, Europeo e conquistare il secondo posto alla Coppa America. E la sua storia è stata raccontata nel libro Controscie scritto da Fabio Donfrancesco, giornalista del Corriere dello sport.

Nel 1973 Alvaro ha iniziato a lavorare nelle Ville Pontificie. Ventotto anni di servizio, fino al 2001. Confidava nei suoi racconti, l’emozione nell’apprendere che Giovanni Paolo II era stato, da giovane, appassionato canoista sui fiumi della Polonia. «Canoisti si è per sempre» ripeteva Alvaro che — sposato con Elena, padre di Luca, Paolo e Simona — ha continuato a vivere la passione per il kayak nel cuore di Castel Gandolfo. Perché, diceva, Olimpiadi o no «già il fatto di poter vivere a contatto con la natura, in una cornice così suggestiva come il lago, è sempre stato per me un vero piacere fisico e mentale». (giampaolo mattei)