· Città del Vaticano ·

Le storie di Layla ed Elena al Meeting di Rimini

Quando la pace
ha il volto di una mamma

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22 agosto 2025

da Rimini
Guglielmo Gallone

«Mia figlia si è arrabbiata moltissimo quando, nel 2018, le ho detto che avrei fatto parte del Parents Circle-Families Forum, l’organizzazione che invita al dialogo famiglia palestinesi e israeliane che hanno perso familiari a causa del conflitto. Sedici anni prima, durante la seconda Intifada, mio figlio Qusay, di soli sei mesi, mi era morto tra le braccia. Stavo cercando di portarlo in salvo dalla guerra, ma i soldati israeliani me lo hanno impedito. Dopo il 7 ottobre 2023, la nostra vita sta diventando sempre più complicata. Tutti i palestinesi che lavoravano in Israele hanno perso lavoro. Non abbiamo rifugi per riparaci dalle bombe. Non sappiamo neppure cosa succede a pochi chilometri da noi. E i bambini non possono più andare a scuola, se non un giorno alla settimana. Di recente, il governo israeliano ha anche creato nuovi ostacoli: rispetto ai soliti checkpoint, ci sono blocchi che impediscono del tutto di muoversi. In una situazione di emergenza, siamo isolati. Eppure, ogni anno con Parents Circle-Families teniamo una cerimonia in cui ricordiamo tutti i nostri cari e lanciamo un messaggio al mondo: israeliani e palestinesi possono stare fianco a fianco. Insieme, possiamo realizzare un cambiamento. Quando i miei figli hanno visto quell’intervento hanno capito perché avevo aderito all’organizzazione. Mia figlia mi ha abbracciato. Per molti anni ho perso la fede, per molto tempo mia figlia non ha compreso il motivo e lo spirito del mio impegno, ma questo è stato il risultato più importante, quello che rende tutto più bello, più facile».

La storia di Layla al-Sheik, mamma palestinese, risuona nel cuore dell’auditorium D3 del Forum di Rimini. Il Meeting organizzato da Comunione e Liberazione è appena iniziato. E il fatto che l’evento inaugurale sia dedicato alle madri per la pace, a due storie di riconciliazione e di dialogo, serve a cogliere fin da subito l’essenza di queste cinque giornate: nei luoghi deserti costruiremo con mattoni nuovi. Layla non è sola. Accanto a lei, nel panel moderato dalla giornalista Alessandra Buzzetti, corrispondente di TV2000 dalla Terra Santa, c’è Elana Kaminka, israeliana, madre di Yannai, un soldato ucciso il 7 ottobre 2023. In una data indelebile per le sorti del Medio Oriente, Yannai ha salvato 80 reclute e 20 civili. «Yannai era mio figlio ma per me era un insegnante – ha raccontato oggi Elana – il suo senso di leadership era animato da tanti sentimenti. Il primo: far percepire il proprio amore agli altri affinché le persone possano essere più efficaci nel creare cambiamenti. Poi, il senso di responsabilità. Per me Yannai è un esempio. Dopo averlo perso, ho pensato di aver perso tutta la mia vita. Ho fallito nell’obiettivo più grande di una mamma: tenere al sicuro il proprio figlio. Allora, mi sono detta che l’unica cosa su cui avrei potuto avere controllo era la mia reazione. Quindi, ho capito i suoi insegnamenti e ho avviato io il cambiamento. Così mi sono unita al Parent Circle».

Oggi queste due mamme vivono a soli due chilometri di distanza:h Layla a Battir, Elana a Tzur Hadssah. Eppure, per Layla è impossibile superare quella frontiera. Ma Elana, con la tenacia e la cura che solo le mamme possono avere, non si è mai persa d’animo: «Noi siamo madri. Tendiamo a essere concrete. Layla è una mia vicina a tutti gli effetti, ma se non la considero tale avrei una vita complicata. Insomma, bisogna avere dei buoni vicini per avere una buona vita. Gli estremisti della nostra società pensano invece che potranno eliminare i nostri vicini. Ciò non avverrà. Bisogna però capire quante persone dovranno perdere la vita prima che tutti capiscano che israeliani e palestinesi vivranno sempre qui».

È d’altronde questo il messaggio lanciato da Bernard Scholz, presidente della Fondazione Meeting, nel suo discorso di apertura: «Potremmo iniziare questa quarantaseiesima edizione partendo da varie analisi, ma nessuna di esse sarebbe capace di liberare la nostra libertà a prendere iniziativa per un nuovo inizio. Per iniziare dove tutto sembra finito. Il titolo di questo meeting dice chiaramente che i deserti esistono, ma che anche in questi deserti è possibile coltivare. Costruire insieme. Davanti a tanta rassegnazione, noi vogliamo portare linfa e amicizia nei deserti della solitudine esistenziale, ma soprattutto conciliazione nei deserti della guerra».

Ed è qui che s’inserisce la testimonianza di Azezet Habtezghi Kidane, religiosa comboniana eritrea, conosciuta anche come suor Aziza, attiva per anni in Israele e nei Territori Palestinesi, prima in Sudan e in Eritrea. «Come suore comboniane, il nostro obiettivo è costruire ponti – ha raccontato oggi nel suo intervento – perciò ci rivolgiamo a chi si occupa dei più vulnerabili. Tra questi, ci sono i beduini del deserto di Giuda. Che ci hanno detto di avere principalmente due paure: il futuro dei loro figli e l’assenza di sanità. Tutto ciò crea enormi pregiudizi, alimentati dal fatto che il muro eretto fra israeliani e palestinesi ci separa dal vedere il volto dell’altro. Ecco perché l’uno ha paura dell’altro. E ogni anno questa separazione diventa più difficile. Ma con la guerra e la violenza non c’è alcuna speranza. Perché quando si vede il volto dell’altro, si vede Dio».

La ferita provocata dalla morte di un figlio, nel cuore di una mamma, non si rimargina mai. Sono questi i deserti immensi e invalicabili di chi vive nella storia. Eppure, queste due donne oggi hanno testimoniato che una strada diversa dalla vendetta e dall’odio è possibile. Ci vuole umiltà, coraggio, determinazione. Ma sono questi i «costruttori di comunità, di convivenza, di pace, di partecipazione e di solidarietà», cui ha fatto riferimento il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, nel suo messaggio inviato oggi al Meeting. Le comunità deperiscono dove prevalgono il disimpegno o l’indifferenza. Costruire, invece, significa rimettersi in cammino nella storia. Ed è questo ciò che si vuole fare in un Meeting che ora dopo ora, animandosi di incontri, di giovani volontari, persone, storie, panel, fa emergere l’obiettivo di queste giornate che Papa Leone XIV ha individuato e sottolineato nel suo messaggio di saluto: «Lasciarsi sospingere nel deserto e vedere fin d’ora ciò che può nascere dalle macerie e da tanto, troppo dolore innocente». 

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