· Città del Vaticano ·

Oggi il numero 50.000 del nostro giornale

Profezia e poesia

 Profezia e poesia  QUO-191
21 agosto 2025

di Andrea Monda

Non bisogna mai fare troppo affidamento solo sui numeri, quelle «nove cifre e lo sfuggente zero» come li chiama Borges, a cui non si dovrebbe dare troppo peso. Il credente sa che la vita è un continuo dialogo con Dio e che «Mille anni, ai tuoi occhi, /sono come il giorno di ieri che è passato, / come un turno di veglia nella notte» e proprio per questo, nello stesso Salmo 90, chiede al Signore un’arte che evidentemente ancora non possiede: «Insegnaci dunque a contare i nostri giorni, per ottenere un cuore savio». Tuttavia, in attesa che il cuore diventi saggio, i numeri ci aiutano a contare i nostri passi. Uno per uno. E 50.000 non è una cifra che può passare inosservata (soprattutto per un giornale che fa dell’osservazione la sua ragion d’essere).

50.000. Questo giornale qui, che il lettore ha in mano o sta leggendo nella versione digitale, è il numero cinquantamila de «L’Osservatore Romano», come riportato sotto la testata in alto a sinistra.

Il numero uno è uscito 164 anni fa, il primo luglio del 1861. Il brivido della profondità storica si avverte in modo potente. Il giornale nasce pochi mesi dopo la proclamazione del Regno d’Italia, avvenuta il 17 marzo, con la sottotestata “Giornale politico-morale” che verrà poi sostituita da quella attuale “Giornale quotidiano politico religioso”. Aveva una foliazione di quattro pagine e costava 5 baiocchi (circa 27 centesimi di lire dell’epoca). Un giornale dunque politico e religioso, che intende raccontare insieme la città di Dio e la città degli uomini. Questo sguardo stereoscopico, che cerca di testimoniare una visione che trascende l’umano, è confermato anche dai due motti che appaiono molto presto, sin dal primo numero del 1862, e cioè le due citazioni in latino che accompagnano il giornale ancora oggi: Unicuique suum (“A ciascuno il suo”, tratta da Ulpiano) e Non praevalebunt ([le porte degli Inferi] “non prevarranno”, dal Vangelo di Matteo 16, 18).

«L’Osservatore Romano» è un giornale curioso, desideroso di conoscere e comprendere, alla luce della Fede, tutto ciò che è umano. Per dirla con un altro classico, Terenzio, Homo sum, humani nihil a me alienum puto (“Sono un uomo, nulla di ciò che è umano mi è estraneo”).

«L’Osservatore» è un «giornale di idee», come scrisse Giovanni Battista Montini in occasione dell’anniversario del primo secolo, il primo luglio 1961. «Non è, come moltissimi altri, un semplice organo d’informazione; vuol essere e credo principalmente di formazione» scriveva l’allora arcivescovo di Milano, «Non vuole soltanto dare notizie; vuole creare pensieri. Non gli basta riferire i fatti come avvengono: vuole commentarli per indicare come avrebbero dovuto avvenire, o non avvenire. Non tiene soltanto colloquio con i suoi lettori; lo tiene col mondo: commenta, discute, polemizza. E se questo aspetto può destare interesse nel lettore, esige fatica enorme nello scrittore. Non basta al redattore usare telefoni, telescriventi, comunicati, agenzie, forbici e colla; egli deve usare il suo giudizio, la sua valutazione; deve cavare dalla sua esperienza e ancor più dalla sua anima una parola; una parola sua, viva, nuova, geniale. E soprattutto vera. Soprattutto buona. Qui il giornalista è interprete, è maestro, è guida, è talvolta poeta e profeta. Arte difficile. Sublime, sì; ma difficile».

Le parole del futuro san Paolo VI sono acute, precise ed esaustive e, oggi forse più di ieri, tratteggiano in modo vivido la vocazione, poetica e profetica, del giornale della Santa Sede. E sottolineano la difficoltà della sfida intrinseca alla sua missione. Anche per questo non resta che pronunciare una sola parola a commento di questa pietra miliare lungo la nostra strada, 164 anni e 50.000 numeri: grazie. Grazie ai tredici Pontefici che, da Pio IX a Leone XIV, hanno sostenuto e incoraggiato la missione del giornale; agli undici direttori — dalla coppia dei fondatori Nicola Zanchini e Giuseppe Bastia a Giovanni Maria Vian —, che, di mano in mano, hanno condotto la fiaccola del giornale, senza farla spegnere, tra gli agitati venti di tre secoli di storia; ai tanti redattori e collaboratori che hanno lavorato con fiducia e fatica, ogni giorno, alla realizzazione concreta di ognuno di questi 50.000 numeri; e ai tantissimi lettori che hanno accompagnato, con l’affetto e la stima, questa magnifica avventura.

A tutti loro e a voi specialmente, cari lettori, grazie.