· Città del Vaticano ·

Aveva solo quattro mesi quando scoppiò la bomba atomica

Una vita dopo Hiroshima:
la storia di Michiko Kono

Photograph of the downtown shopping district near the center of town, facing east. Only rubble and a ...
19 agosto 2025

Michiko Kono è nata nel marzo del 1945, pochi mesi prima dello scoppio della bomba atomica. A soli quattro mesi, è stata esposta alle radiazioni nucleari. Eppure, è sopravvissuta. Nel 1967 si è laureata in Letteratura Inglese alla Hiroshima Jogakuin University. Dall’aprile 2001 è volontaria di Pace per Hiroshima e lavora come guida del museo. Dal 2017 è anche una A-bomb Legacy Successor (Successore dell’eredità della bomba atomica).
Lo scorso sabato 9 agosto Michiko Kono è intervenuta al Tonaletate International Summer University 2025. Ne riportiamo di seguito una prima parte del discorso, in una nostra traduzione dall’inglese.

Mi chiamo Michiko e vengo da Hiroshima, in Giappone. Sono una sopravvissuta alla bomba atomica. Dal 2001 lavoro come volontaria della pace al Museo Memoriale della Pace di Hiroshima, offrendo visite guidate ai visitatori. Dal 2017 sono impegnata a portare avanti l’eredità di testimoni della bomba atomica, narrando l’esperienza di una sopravvissuta alla bomba atomica per tramandarla e condividerla nei musei e nelle scuole.

Hiroshima e il Giappone prima della bomba


Oggi vorrei raccontarvi l’esperienza della bomba atomica vissuta dalla mia famiglia. Ma prima di iniziare, permettetemi di raccontarvi un po’ di Hiroshima prima dei bombardamenti e prima che sulla città fosse sganciata la bomba atomica.

La città è costruita su un delta formato dall’accumulo di sedimenti portati dal fiume Ota, quindi è attraversata da numerosi fiumi. Nel 1868 il Giappone divenne una monarchia costituzionale, con a capo l’imperatore, ponendo così fine alla signoria dei Samurai. Iniziò quindi il periodo Meiji. Il governo abolì i domini feudali e istituì delle prefetture. Costituì inoltre un esercito con il motto “Paese ricco, esercito forte”, che quindi fu dispiegato anche qui. Il primo governatore, Sadaaki Senda, volle costruire un porto sulla costa, e così nel 1889 venne completato il porto di Ujina. Quello stesso anno incominciò il governo municipale di Hiroshima. Nel giugno 1894, appena un mese prima che tra Cina e Giappone scoppiasse la guerra sino-giapponese, la linea ferroviaria di Sanyo fu prolungata fino alla stazione di Hiroshima. In agosto, in soli 17 giorni venne costruita la linea ferroviaria di Ujina, che collegava la stazione di Hiroshima con il porto di Ujina. Pertanto, soldati e logistica da tutto il Giappone furono radunati direttamente nel porto di Ujina e da lì inviati per nave sui campi di battaglia oltremare. Durante quella guerra l’imperatore Meiji rimase per sette mesi a Hiroshima a guidare le attività belliche.

Hiroshima divenne una città militare. Dopo aver vinto quella guerra, e dopo anche quella russo-giapponese, nella città crebbe il numero delle strutture militari. All’epoca, molti Paesi europei possedevano colonie in Asia e in Africa. Quindi il Giappone, che disponeva di poche risorse naturali, evidentemente aveva preso in considerazione quella soluzione. Il Giappone iniziò a scontrarsi di nuovo con la Cina in seguito all’incidente mancese del 1931, che sfociò nella seconda guerra sino-giapponese nel 1937. Le potenze occidentali incolparono il Giappone e, nell’agosto 1941, in seguito all’occupazione del sud dell’Indocina francese il 28 luglio di quell’anno, gli Stati Uniti imposero al Paese un embargo totale sul petrolio. Quando l’8 dicembre dello stesso anno il Giappone sconsideratamente attaccò Pearl Harbor, nelle Hawaii, e occupò la penisola malese, scoppiò la guerra del Pacifico. Nelle prime fasi la guerra andò bene per il Giappone, tuttavia la situazione iniziò a mutare dopo la grande sconfitta nella battaglia delle Midway nel giugno 1942. Il nostro governo, però, non ci disse la verità. Nel frattempo gli Stati Uniti stavano segretamente sviluppando la bomba atomica. Il 16 luglio 1945 la prima bomba atomica fu testata con successo in una zona desertica del New Mexico, appena tre settimane prima del bombardamento di Hiroshima. Dobbiamo comunque ricordare che durante la guerra l’esercito giapponese ha fatto molte cose brutte a tanti asiatici e agli ostaggi britannici.

Quella mattina del 6 agosto 1945


Alle ore 1.45 della mattina del 6 agosto 1945 il bombardiere statunitense B-29 “Enola Gay” decollò dall’isola di Tinian, diretto a Hiroshima, a 2700 chilometri di distanza. Sei ore e trenta minuti dopo, la bomba atomica fu sganciata a 5 chilometri dal centro città, da un’altitudine di 9,6 chilometri, puntando come bersaglio il ponte Aioi dalla forma di T. Era una bomba all’uranio e esplose a 600 metri dal suolo sopra un ospedale, 300 metri a sudest del ponte. Per prima cosa fu emessa una radiazione fatale invisibile. Nel giro di 0,2 secondi, nel cielo si formò un’immensa palla di fuoco del diametro di oltre 400 m, con una temperatura in superfice stimata intorno a 7700 gradi. Un uomo che aveva visto la palla di fuoco da una collina ad almeno 6,5km di distanza scrisse che assomigliava a un piccolo sole. Da questa palla di fuoco, feroci raggi di fuoco colpirono la città e entro pochi secondi seguì una violenta esplosione (onda d’urto). È stato stimato che la temperatura vicino all’ipocentro si aggirasse tra i 3000 e i 4000 gradi. Quei raggi di calore arrivarono fino a 3,5 chilometri, entro i quali le persone prive di un riparo furono bruciate. Scoppiarono incendi ovunque, riducendo la città in cenere. Si ritiene che a circa 500 metri dall’ipocentro la pressione dello scoppio sia stata di circa 11t/m3 e che la velocità del vento abbia raggiunto circa 190m/sec. (430mp/h), quindi tutte le finestre scoppiarono e andarono in frantumi, mentre le case di legno in un raggio di 2 chilometri furono completamente distrutte.

Nel grembo materno, sotto l’ombra della bomba


Molte persone morirono all’istante, e quelle che erano intrappolate all’interno furono arse vive. Radiazioni invisibili penetrarono ovunque, anche nei corpi delle persone. La radiazione emessa entro un minuto dopo l’esplosione è detta radiazione iniziale. Penetrò nel suolo, danneggiando le cose viventi, e rimase nel suolo. Per un certo tempo, la terra, gli edifici, le macerie e molte altre cose che avevano assorbito la radiazione iniziale emisero a loro volta radiazioni indotte. Queste radiazioni danneggiarono le persone che arrivavano in città per le operazioni di soccorso o alla ricerca di amici e familiari dopo l’esplosione della bomba atomica. Circa mezz’ora dopo l’esplosione, sul centro e sulla zona nord-occidentale della città cadde una pioggia nera. Era altamente radioattiva, e questo aumentò notevolmente il danno. Dicono che in città ci fossero circa 350.000 persone ed entro la fine di quell’anno ne erano morte 140.000.

Io avevo solo quattro mesi e abitavo con i miei genitori e i miei nonni materni in una casa che distava circa 1,6 chilometri da quello che sarebbe poi stato l’ipocentro. Erano preoccupati per i raid aerei che, ritenevano, avrebbero presto colpito Hiroshima visto che fino ad allora non era ancora stata colpita in modo significativo. La ragione era che gli americani volevano risparmiare la città perché era uno dei possibili obiettivi della bomba atomica. Mio padre decise di mandare me e mia madre nel suo paese natale. Sebbene non fosse facile ottenere biglietti ferroviari in tempo di guerra, mio padre riuscì a trovarne per il 6 agosto, e questo indubbiamente cambiò il destino della mia famiglia.

Mio padre lavorava in un ufficio della prefettura, temporaneamente ubicato al secondo piano della scuola elementare Honkawa, a 410 metri a ovest dell’ipocentro. Se lui non avesse trovato i biglietti, è probabile che la maggior parte dei miei familiari sarebbe morta. Il 6 agosto, di primo mattino, i miei genitori ed io ci trovavamo sulla banchina della stazione di Hiroshima, a due chilometri dall’ipocentro, in attesa di essere evacuati. Inizialmente mia madre mi portava sulla schiena. Poiché i treni erano in ritardo, mia madre ricordò che doveva cambiarmi il pannolino e mi pose su una panca di legno.

La bomba atomica esplose proprio mentre mi stava cambiando su quella panca. Improvvisamente tutta l’area intorno a noi fu avvolta da un fumo bianchiccio e giallino, come se fosse stato bruciato del magnesio. Al tempo stesso si aveva la sensazione che una immensa colonna di fuoco cilindrica cadesse tra le banchine; però il rumore non era fortissimo. Mia madre ricordava di essere finita a terra subito, senza pensare, senza sapere chi o dove fosse. Quando il fumo si diradò un po’, mi vide sulla panca, con il viso nero di fuliggine, gli occhi lucidi come se stessi piangendo, ma notò con sollievo che non sembravo essere ferita. Lei stessa non pensò di avere riportato ferite gravi, perché provava solo un leggero dolore sulla guancia destra e sul collo. Si guardò intorno per cercare il marito, che doveva essere lì vicino e invece era stato scaraventato sul bordo della banchina. La parte posteriore della sua giacca tradizionale stava fumando e lei si affrettò a spegnere il fuoco, ma rimase una grande bruciatura nera. Aveva ustioni sulla schiena e sul collo. Ricordo che in seguito le ustioni dei miei genitori divennero cicatrici cheloidee sui loro colli e sulla schiena di mio padre.

La vita che resiste, accanto all’abisso


Per fortuna io non avevo ustioni, dato che lo schienale della panca di legno aveva fermato i raggi di calore. Nell’esplosione erano crollati parte del tetto e travi della banchina, ma riuscimmo a evitare ferite. Scendemmo dalla banchina e corremmo verso un campo di addestramento militare a nord della stazione. Era grande e aveva molte trincee. Ci tuffammo in una di queste, ai piedi di una montagna, insieme ad altre persone. Dopo un po’ mio padre uscì per andare a casa a cercare i miei nonni. Riuscì ad attraversare il centro, che ormai era un inferno di fuoco. Casa nostra stava bruciando e le fiamme gli impedirono perfino di avvicinarsi. Rinunciò all’idea di cercare i miei nonni e attraversò il fiume per raggiungere la casa di mia zia materna, 2,5 chilometri a sudest dell’ipocentro. Per strada vide una giovane madre morta e il suo bambino appena nato ancora attaccato al cordone ombelicale. Era la cosa più mostruosa che avesse mai visto. Attraversando il fiume vi vide galleggiare molti cadaveri. Dalla trincea mia madre vedeva molte persone fuggire dal centro, e questo andò avanti fino a sera. Molti tendevano le braccia davanti a sé, come fantasmi con la pelle cascante. Alcuni erano completamente nudi e respiravano affannosamente. Alla fine, tutti crollavano a terra. Prima di vedere quelle persone mia madre aveva pensato che la stazione di Hiroshima fosse stata colpita direttamente in un raid aereo. Dopo cambiò completamente idea e immaginò che doveva essere accaduto un qualche disastro fuori dal comune. Non era stato un normale raid aereo, poiché, anzitutto, non avevamo visto nessun bombardiere B-29 nemico, e questo ci fece capire la gravità del disastro. La sera, la gente della contea circostante ci offrì degli onigiri (polpette di riso), ma pur non avendo pranzato, mia madre non aveva appetito.

Durante la notte la città continuò a bruciare. Mia madre mi ha raccontato spesso che anche la zona vicino alla stazione ferroviaria sopravvissuta all’incendio alla fine aveva preso fuoco. Il fuoco si propagò da est a ovest e lei vide per la prima volta un tornado di fuoco; e pur sapendo che non li avrebbe raggiunti, temeva comunque per la sua vita.

La seconda parte della testimonianza sarà pubblicata sul quotidiano di domani, 20 agosto.