· Città del Vaticano ·

Il racconto

Segni visibili di speranza

 Segni visibili di speranza  QUO-187
13 agosto 2025

di Fabrizio Peloni

Un’udienza generale protrattasi per due ore e mezzo abbondanti e svoltasi in differenti luoghi e in più momenti quella di stamani, 13 agosto. I quattordicimila fedeli giunti da ogni parte del mondo per partecipare all’appuntamento settimanale del mercoledì, dopo aver riempito l’Aula Paolo VI — dove l’incontro è stato spostato a causa delle elevate temperature —, sono stati dislocati in piccola parte nel cortile del Petriano e il resto all’interno della basilica Vaticana.

Già prima di iniziare l’udienza Leone XIV si è rivolto con alcune parole di saluto alle centinaia di persone che hanno sfidato la calura nel cortile all’aperto. E dopo la catechesi, le foto di gruppo, i saluti ai malati e agli sposi novelli nell’Aula progettata dal Nervi, il Papa è tornato da loro ringraziando per la pazienza nel sopportare il «tanto calor» e benedicendoli in italiano, spagnolo e inglese. Infine si è diretto nella basilica di San Pietro per dare il benvenuto anche agli “ultimi arrivati”. Dopo aver brevemente riassunto in italiano, spagnolo e inglese il senso della catechesi odierna, ha percorso la navata centrale stringendo le mani e benedicendo le migliaia di fedeli presenti. Alle 12.30 si è quindi conclusa l’udienza.

Particolarmente significativa la presenza in Aula Paolo VI di 35 fedeli della Comunità di San Giacomo per i cattolici di lingua ebraica in Israele. «Torniamo a casa per essere segni visibili di speranza», ha detto convinto il vicario patriarcale Piotr Zelazko, spiegando che il gruppo è «a Roma in pellegrinaggio giubilare in rappresentanza delle sette comunità che fanno parte del Vicariato, e di questa bellissima chiesa di Gerusalemme; e la nostra speranza quotidiana — confida il sacerdote polacco — è di creare ponti fra il mondo ebraico e quello cattolico, pregando per la liberazione degli ostaggi, così come per la fine delle sofferenze a Gaza e per tutte le vittime del conflitto in Terra Santa». Per lui la prospettiva è quella del perdono: «Cerchiamo di essere sempre con chiunque vive nel dolore perché le lacrime delle madri non hanno bandiera e noi come cristiani dobbiamo offrire una luce per tutti».

«In questi giorni lontano dalla devastazione degli ultimi due anni e nel cuore della cristianità i nostri fedeli sentono la libertà di esprimere la propria fede e viverla insieme con tanti altri cattolici venuti da tutto il mondo» gli fa eco don Benedetto di Bitonto, responsabile della comunità dei cattolici di lingua ebraica a Gerusalemme.

Altri segni visibili di speranza nell’Aula Paolo VI sono i 150 giovani del Campo internazionale promosso dall’Opera per la Gioventù “Giorgio La Pira”. «Al Papa, tutti insieme — a prescindere dalla propria religione, cultura e nazionalità — hanno testimoniato come, con la volontà e l’impegno fattivi, la pace sia una possibilità concreta. Stanno vivendo un’esperienza umana improntata sul pensiero, attualissimo, del “sindaco santo”, e stanno affrontando le grandi questioni del dialogo per la pace nel Mediterraneo», evidenzia il presidente Gabriele Pecchioli.

I giovani sono ospitati dal 10 al 21 agosto presso il Villaggio La Vela di Castiglione della Pescaia, che quest’anno celebra il 70° anniversario. Sono ragazzi in età universitaria provenienti da Italia, Libano, Egitto, Siria, Ucraina, Russia, Israele e Palestina e altri Paesi dell’aera mediterranea. Tra loro Elia Granchi, alla sua prima esperienza, si dice colpito «dall’accoglienza incondizionata, senza barriere che si respira quotidianamente tra noi; nella condivisione quotidiana si costruisce la pace».

Hanno salutato il Pontefice anche alcuni chierichetti maltesi provenienti da Gozo. Hanno tra i 13 e i 16 anni e fanno parte del terzo dei sei gruppi che durante l’estate sono impegnati nell’animazione liturgica delle messe celebrate nella basilica di San Pietro, rinnovando una tradizione che si ripete da 60 anni. È infatti dal 1965, con il Concilio Vaticano II non ancora concluso, che giovani ministranti ogni estate arrivano in Vaticano dall’isola nel cuore del Mediterraneo.

Michal Libant, fondatore e responsabile della comunitá Dismas, attiva nell’assistenza spirituale nelle carceri della Slovacchia, ha donato a Leone XIV un dipinto realizzato da un ergastolano di Leopoldov. «Dio non agisce solo fuori. Dio vuole cambiare le persone anche in prigione», chiarisce Libant, sottolineando come «pure a queste persone il Padre celeste dà la possibilità di tornare a casa».

Anche Eva Vukina, giovane artista croata, ha consegnato un proprio quadro, intitolato Habemus Papam. «L’8 maggio scorso, il giorno dell’elezione di Leone XIV, l’ho realizzato in quattro ore e ho sentito di rappresentare come lo Spirito Santo agisce nella Chiesa» spiega la giovane, accompagnata all’udienza da suor Matija Pacar, scolastica francescana di Cristo Re. «Nelle sue opere vedo il cielo, sono un atto di fede e gioia, sono il frutto della sua preghiera», commenta la religiosa.

Al termine dell’udienza, Leone XIV si è intrattenuto a lungo nei saluti ai malati, consegnando personalmente la corona del rosario nelle loro mani. Allo stesso modo ha fatto con le coppie di sposi novelli, benedicendo gli anelli nuziali.