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Il concetto di pace e l’internamento dei militari italiani dopo l’Armistizio

 Il concetto di pace e l’internamento dei militari italiani dopo l’Armistizio  QUO-185
11 agosto 2025

di Valentina Villa*

L’analisi della resistenza non armata degli internati che furono prigionieri nei lager nazisti per quasi due anni tra il 1943 e il 1945 suggerisce diverse riflessioni sul tema della pace. In primo luogo risulta evidente come gli internati — attraverso l’ostinato rifiuto a fornire collaborazione militare ai nazifascisti — abbiano l’obiettivo prioritario di ottenere una pace politica, legata, cioè, al termine delle operazioni belliche condotte dalle forze dell’Asse. Tale obiettivo è perseguito su più piani: dallo sforzo economico e militare che la gestione della mole di prigionieri impone al Reich (sottraendo così risorse per lo scontro diretto con gli Alleati) all’evidente delegittimazione politica che la presenza stessa dei militari nei campi, nonché le loro pessime condizioni di vita, causa alla Repubblica Sociale Italiana.

In secondo luogo il tema della pace è molto presente all’interno dell’universo spirituale di riferimento degli internati, plasmato in larga misura dalla cultura cattolica in cui erano cresciuti, nonostante la propaganda bellicista del Ventennio fascista, e dallo sforzo assistenziale e spirituale dei cappellani militari. Da questo punto di vista il categorico rifiuto della guerra contenuto nell’articolo 11 della Costituzione repubblicana sembra aver portato avanti l’eredità dell’esperienza, anche religiosa, dell’internamento e per alcuni internati sembra sia stato possibile sperimentare proprio nei lager «l’interna pace, quella che viene dalla piena e chiara consapevolezza di essere dalla parte della verità e della giustizia, e di combattere e soffrire per esse, quella pace che solo il Re divino sa dare e che il mondo, come non sa dare, così non può togliere» (Pio XI, Non abbiamo bisogno, i).

Anche dal punto di vista dottrinale l’esperienza dell’internamento sembra suggerire le successive trasformazioni che porteranno la Chiesa cattolica a rifiutare ufficialmente il criterio della guerra giusta nel 1963 con la Pacem in Terris di Giovanni XXIII e a decretare la piena incompatibilità tra cristianesimo e guerra moderna.

In conclusione, l’esperienza degli internati militari rappresenta la vittoria di coloro che, scientemente, hanno fatto proprio il comando evangelico: «Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada» (Matteo, 26, 52-53).

*Docente di Storia
delle istituzioni militari
all’Università Cattolica del Sacro Cuore