· Città del Vaticano ·

Haiti Anche i funerali in mano alle gang

epa12291295 Burial vaults at the Fragneau-Ville Cemetery on Delmas 75 in Port-au-Prince, Haiti, 01 ...
11 agosto 2025

di Olivier Bonnel
e Guglielmo Gallone

«La Conferenza episcopale di Haiti ringrazia il Santo Padre, Papa Leone XIV, per questo grido a favore del popolo haitiano e per questo appello alla comunità internazionale affinché si occupi maggiormente e concretamente della situazione di Haiti»: esordisce così monsignor Max Leroy Mésidor, arcivescovo di Port-au-Prince, parlando ai media vaticani. Le parole pronunciate ieri dopo l’Angelus dal Pontefice, che ha chiesto di liberare «immediatamente gli ostaggi» e ha ribadito la necessità del «sostegno concreto della comunità internazionale» per Haiti, hanno squarciato il velo dell’indifferenza su una crisi che il mondo tende a relegare ai margini della cronaca ma che, invece, fa parte di una “terza guerra mondiale a pezzi” capace di divorare non solo vite e speranze, ma persino anime. Nel Paese più povero delle Americhe, ormai piegato dal dominio delle gang armate, anche i funerali sono diventati merce di scambio: per seppellire un familiare occorre pagare una tassa ai gruppi criminali che controllano cimiteri e processioni funebri. Lo ha denunciato all’agenzia Efe, chiedendo per ragioni di sicurezza l’anonimato, il direttore di un’agenzia di pompe funebri locale, secondo cui «dal 2024 non siamo più in grado di lavorare. Per ogni sepoltura dobbiamo contattare il gruppo armato che controlla il cimitero di riferimento. È l’unico modo per evitare incidenti il giorno del funerale». È successo a Mireille, 52 anni, che ha dovuto versare 318 dollari nelle tasche delle gang pur di dare una degna sepoltura alla madre nel cimitero di Turgeau e che non ha più diritto alla lapide di famiglia. Nel 2021 ad Haiti un funerale costava 100.000 gourde, 762 dollari. Oggi il minimo è di 200.000 gourde, circa 1.523 dollari. Non a causa dell’inflazione, bensì a causa dello strapotere criminale che domina ogni angolo della capitale e sempre più aree di Haiti.

In un Paese in cui, su 11,7 milioni di abitanti, circa il 60 per cento vive in condizioni di povertà, pochissimi possono permettersi di coprire costi simili. Tanto che, nelle zone rurali come Petite-Rivière e Artibonite, pur di evitare i cimiteri controllati dai criminali, le famiglie trasportano le bare a piedi per ore. Ed è proprio questo l’aspetto che l’arcivescovo di Port-au-Prince denuncia ai media vaticani: «La Chiesa di Haiti constata che il crimine non conosce più limiti nel nostro Paese. Ne è testimonianza il rapimento di otto persone, tra cui un bambino dell’orfanotrofio Sainte Hélène di Kenscoff. Questo atto di barbarie è uno dei tanti segni del fallimento dello Stato e di una società che sta perdendo il senso della vita e della dignità umana».

I dati più recenti, forniti dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (Ohchr), lo confermano: solo nei primi sei mesi del 2025, oltre tremila persone sono state uccise a causa delle violenze criminali. L’agenzia Onu menziona anche la morte di 136 bambini, 185 rapimenti e 628 casi di violenza sessuale: un vero e proprio bollettino di guerra che fa il paio con 1,3 milioni di sfollati, 5 milioni di persone che richiedono assistenza alimentare e 217.000 bambini che soffrono di malnutrizione acuta. «Noi speriamo che questo grido del Papa venga ascoltato dalle autorità haitiane e dalla comunità internazionale — ha aggiunto monsignor Mésidor —. Quest’ultima ha moltiplicato gli incontri sulla situazione del nostro Paese, ma i risultati tardano disperatamente ad arrivare. La forza multinazionale di sostegno alla sicurezza ha un impatto molto limitato. C’è una grave mancanza di personale e di mezzi logistici».

E le conseguenze sul terreno sono evidenti. A partire dallo scorso marzo, la violenza si sta estendendo oltre la capitale verso il confine, per controllare le strade principali attraverso cui avviene gran parte del traffico illegale di armi e di esseri umani, e verso i dipartimenti di Artibonite e Centre, dove sono state sfollate rispettivamente 92.000 e 147.000 persone. Le autorità hanno ora deciso di instaurare lo stato di emergenza proprio nelle province di Ouest, Artibonite e Centre per tre mesi. La principale difficoltà rimane però che oggi, oltre ai traffici illegali, le bande criminali controllano l’accesso all’acqua, al carburante e alle derrate alimentari, imponendo persino tasse alla popolazione e instaurando un potere parallelo. Disoccupazione giovanile, mancanza di istruzione e di fiducia nei confronti della politica, dunque una generale assenza di prospettive spingono molti giovani a diventare parte delle gang, dove trovano reddito, appartenenza, ma soprattutto riconoscimento.

Ecco perché, ha concluso monsignor Mésidor, «il grido del Santo Padre deve risuonare anzitutto nel cuore degli haitiani, poiché spetta in primo luogo a noi organizzare il Paese con un progetto comune, promuovendo il dialogo nella nonviolenza e nella giustizia. Affinché vi sia un dialogo, affinché vi sia una conferenza nazionale, occorre che le armi tacciano. Occorre rinunciare alla violenza». Infine, l’arcivescovo di Port-au-Prince ha ringraziato «di cuore Papa Leone. Uniamo la nostra preghiera alla sua, perché Dio aiuti il popolo haitiano a liberarsi di tutte le catene che ostacolano il suo sviluppo. Specialmente la violenza dei gruppi armati, la mancanza di coscienza patriottica e le lotte meschine per il potere e il denaro». L’auspicio finale del presule è rivolto tutto a questo Anno Santo della speranza, affinché possa «rafforzare la fede del popolo di Dio che è ad Haiti. Possa il Giubileo portare un tempo di grazia e di benefici per noi haitiani, haitiani. Perché la speranza in Dio non delude mai» (olivier bonnel e guglielmo gallone)