
L’approvazione da parte del gabinetto di sicurezza israeliano del piano presentato dal premier, Benjamin Netanyahu, per l’occupazione militare di Gaza City, ha provocato indignazione e scontento in tutto il mondo. Larga parte della comunità internazionale ha condannato questa mossa, ma forti critiche sono piovute anche dall’opposizione, dalla società civile e dagli stessi familiari degli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas.
La questione è all’ordine del giorno di una riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu in programma per domenica, lo stesso giorno in cui potrebbe arrivare la ratifica definitiva del piano da parte del governo israeliano. Ma i tamburi di guerra già riecheggiano sulla Striscia, dove i raid israeliani proseguono incessanti da 22 mesi e stamane all’alba altre 16 persone sono state uccise vicino a un centro di distribuzione degli aiuti umanitari.
«Questa decisione segna una pericolosa escalation e rischia di aggravare le già catastrofiche conseguenze per milioni di palestinesi, mettendo ulteriormente a repentaglio altre vite, comprese quelle degli ostaggi rimasti», ha dichiarato il segretario generale dell’Onu, António Guterres, esprimendo preoccupazione per un piano che potrebbe portare, entro la data simbolica del 7 ottobre, allo sfollamento verso il sud della Striscia di oltre un milione di persone che vivono a Gaza City. «Una catastrofe senza precedenti», è la definizione usata dal presidente palestinese, Mahmoud Abbas, per il piano del governo Netanyahu.
Fortemente contraria l’Unione europea. La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha invitato Israele a riconsiderare i suoi piani, mentre il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, ha parlato di «un’operazione che viola l’accordo di associazione e i fondamenti del diritto internazionale».
I ministri degli Esteri di Italia, Australia, Germania, Nuova Zelanda e Regno Unito, una dichiarazione congiunta diffusa stamane, hanno respinto con forza la decisione del gabinetto di sicurezza israeliano che «aggraverà la catastrofica situazione umanitaria, metterà in pericolo la vita degli ostaggi e aumenterà il rischio di un esodo di massa dei civili». «Qualsiasi tentativo di annessione o espansione degli insediamenti viola il diritto internazionale», hanno aggiunto. Senza precedenti, inoltre, la decisione del governo tedesco con il cancelliere Friedrich Merz che ha imposto uno stop parziale al rifornimento di armi per Israele. Un annuncio che è stato accolto con “dispiacere” dal governo Netanyahu, in virtù della “storica alleanza” tra i due Paesi.
Dure critiche sono arrivate inoltre da Iran e Arabia Saudita. Il ministero degli Esteri di Teheran ha accusato il governo Netanyahu di voler «ripulire etnicamente» il territorio palestinese; mentre il ministero degli Esteri saudita ha denunciato le volontà israeliane di sottoporre a “carestia” e “pulizia etnica” i palestinesi sotto assedio.
Posizione e ruolo a parte rimane quello degli Stati Uniti. Il vice presidente J.D. Vance, pur parlando di un «disaccordo» tra Usa e Israele su come raggiungere i «tanti obiettivi comuni», ha ribadito ieri che «gli Stati Uniti non riconosceranno lo Stato di Palestina, mancano le condizioni per farlo». In Israele, mentre l’opposizione ha duramente criticato questa nuova escalation bellicista del governo, protestano anche i cittadini. Varie manifestazioni e cortei si sono tenute e sono in programma a Gerusalemme e Tel Aviv. «Il governo ha condannato a morte gli ostaggi vivi e alla scomparsa quelli caduti», ha ammonito il Forum che riunisce i familiari secondo cui questo piano «ignora il chiaro desiderio della maggior parte dell’opinione pubblica israeliana».