
di Guglielmo Gallone
«Dio della pace, questa terra si trova sull’orlo della sua alba più oscura. Spezzando il silenzio di una lunga notte, cominciamo a udire deboli segni di pace che sorgono da lontano. E, in silenzio, i nostri cuori ricominciano a battere con speranza»: inizia così la preghiera per la riunificazione pacifica della penisola coreana che domenica 10 agosto verrà letta presso la chiesa presbiteriana di Yeondong, a Seoul.
Promosso ogni anno dal Comitato per la riconciliazione e la riunificazione del Consiglio nazionale delle Chiese coreane, il rito si svolge questa volta in un anno speciale per la penisola asiatica: nel 2025 ricorrono sia l’ottantesimo anniversario della liberazione della Corea, sia il settantacinquesimo anniversario della guerra di Corea. Il 15 agosto 1945 è una data che accomuna tutti i coreani: posta alla base di un fattore umano essenziale come quello dell’affermazione dell’indipendenza nazionale e della conseguente cacciata dell’invasore, essa segna la fine dello spietato dominio coloniale giapponese. Un periodo iniziato nel 1910, caratterizzato sì da dure repressioni e da un’assimilazione forzata, le cui vittime sono state anzitutto le jūgun ianfu (le donne di conforto), ma anche da unità tra il nord e il sud della penisola, accomunate dalla speranza di una nazione libera contro l’invasore. Questo sentimento pesa ancora oggi e rende i rapporti con Tokyo più complessi di quanto si voglia far credere, anche da parte di Seoul. Il settantacinquesimo anniversario della guerra di Corea riporta invece alla memoria la frattura della penisola: tre anni di guerra, milioni di morti, ma soprattutto nessuna pace. Il conflitto si è concluso nel 1953 con un armistizio che ha inaugurato una tregua. Da allora, questa sospensione mai risolta continua a minacciare la stabilità della regione e dell’intero equilibrio geopolitico globale.
Sono dunque l’indipendenza e la consapevolezza della necessità della pace i fattori su cui fanno leva le Chiese coreane per promuovere l’unificazione, da sempre definita «non un’opzione, bensì un obiettivo». Tanto è stato fatto in questo senso da parte della Chiesa cattolica sudcoreana: dall’istituzione nel 1995 di una Commissione episcopale speciale, ai consistenti aiuti forniti ai nordcoreani durante la carestia degli anni Novanta, fino ad arrivare al Giubileo della riconciliazione nazionale a Chunchon del giugno 2000. Ad aprile una delegazione di vescovi coreani si è poi recata in pellegrinaggio nell’isola di Kyodong, comune di Ganghwa, al confine tra Nord e Sud per pregare per la pace e la riconciliazione, avendo modo di parlare con la prima generazione di sfollati. Nel 2026 ricorreranno inoltre i 40 anni dalla prima Eucaristia condivisa tra le Chiese della Corea del Nord e della Corea del Sud tenutasi a Glion, in Svizzera. «La Corea del Nord e la Corea del Sud hanno vissuto per secoli come un unico Paese, una sola nazione e una sola cultura», ha detto in un’intervista all’agenzia Fides monsignor Chung Soon-Taick, arcivescovo di Seoul, amministratore apostolico di Pyongyang e presidente del comitato per la riconciliazione, aggiungendo che «per superare conflitti e divisioni, dobbiamo prima tendere la mano, come ci ha detto Gesù: 'Date loro voi stessi da mangiare'». L’arcivescovo ha poi fatto leva su decisioni politiche piccole ma simboliche: la Corea del Sud ha rimosso le restrizioni ai rapporti privati con i cittadini nordcoreani e ha eliminato gli altoparlanti per la propaganda posti al confine col Nord, mentre Pyongyang ha smesso di trasmettere rumori inquietanti alla frontiera. «Uniremo le nostre forze per operare congiuntamente con quanti desiderano che Nord e Sud vivano insieme nella “casa comune”», hanno dichiarato i vescovi coreani in un messaggio per la ricorrenza del 15 agosto.
Remando contro i principali attori geopolitici che hanno interesse a dividere la penisola, le Chiese locali ribadiscono che la soluzione ai problemi passa per la riconciliazione e l’unificazione. E lo fanno ben consapevoli dell’anno inedito che tanto il Sud quanto il Nord stanno affrontando. Seoul ha visto prima il suo ex presidente annunciare una legge marziale e poi essere arrestato due volte con l’accusa di abuso di potere, insurrezione e alto tradimento, mentre sullo sfondo i rapporti con l’alleato di sempre, gli Usa, rischiano di alterarsi a causa della politica assertiva di Trump. Pyongyang continua invece a legare la sua proiezione geopolitica al sentimento antioccidentale e all’alleanza con la Russia, rischiando però di isolarsi ulteriormente e di non risolvere i problemi sociali ed economici con cui fa i conti da sempre. Forse è proprio per la consapevolezza di questa «alba più oscura» di fronte alla quale si trovano le due Coree che, quest’anno, i vescovi coreani sono scesi in campo più forti di prima.